ESSERE VULNERABILI
Queste vacanze sono state un disastro almeno da un certo punto di vista: io il 25 pomeriggio mi sono ammalata con un’influenza pesantissima che non avevo ricordi di stare così male, la febbre a 39 non l’avevo veramente da secoli.
Poi si sono ammalati a ruota Alberto e Lorenzo.
È saltata a vacanza in montagna con mia sorella e i cuginetti, abbiamo perso 230 euro di caparra e domani passeremo l’ultimo dell’anno a casa.
E sapete cosa vi dico: chisseneffrega.
Pazienza non sono cose gravi, sono pesantezze della vita che puoi accettare facendole diventare meno pesanti o puoi ingigantire arrabbiandoti con te stesso, con gli altri, col fato. All’inizio mentre me ne stavo a letto boccheggiando non ho proprio detto “chissenfrega”, ma iniziavo a sentirmi avvilita, depressa e completamente identificata con la malattia. Poi mi è venuto in soccorso un verso del Quelet citato più volte da Antonietta Potente, la teologa domenicana che ho intervistato qualche anno fa:
“Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare.
Un tempo per amare e un tempo per odiare,
un tempo per la guerra e un tempo per la pace.
Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica?”
Queste parole mi hanno molto rincuorato, e mi sono detta questo è il tempo della vulnerabilità, è il tempo di stare a letto e di lasciare la casa in disordine, di chiedere aiuto e basta; il tempo dell’attivismo, del lavoro, dello sport, degli amici, delle feste, arriverà, ma non è ora!
Accettando la mia vulnerabilità mi sono arrivati aiuti, sostegno, affetto, telefonate, arance, carrube, messaggi e mi sono sentita sostenuta dall’effetto dei cari.
Quando anche Lorenzo è crollato con 40 di febbre che non scendeva ho cercato anche allora di relativizzare, di non ingigantire, di non pensare alle più terribili malattie che si leggono online o alle complicanze dell’influenza, o alla necessità di prendere subito antibiotici o cortisone.
Ho fatto mie la parole del caro amico pediatra Stefano Bondavalli che mi disse l’anno scorso davanti a un’influenza del genere di Lorenzo: ” Eleonora, quanti giorni dura la febbre nell’influenza? Tre giorni e tre notti. Se ti va male 5″. Se ce l’ho fatta io ce la fa anche lui e se non dormo adesso dormirò più avanti.
C’è un tempo per sentirsi vulnerabili.
Penso che molto del nostro lavoro oggi sia imparare ad accettare la nostra vulnerabilità e trarre anche i doni in essa.
Viviamo in un mondo che ci bombarda con immagini Super di come dovremmo essere fighi, forti, attivi, vincenti, sempre sorridenti, e siamo nel periodo storico in cui ci sono più depressi, malati, disoccupati, dipendenti da sostanze e da internet di sempre.
Penso che bisogna opporsi a questi modelli fasulli e controproducenti, portano solo la gente a sentitisi non adeguata e sempre più insicura. Non c’è niente di male a stare male e si può imparare a vivere al meglio questa nostra vulnerabilità semplicemente accettandola con affetto.
Eleonora
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