Dire SI alla vita
L’altro giorno scorrendo su Facebook inciampo in un post di Alessandro D’Avenia, il noto scrittore/professore quarantenne che apprezzo molto per profondità e anche per alcuni suoi libri. Alessandro scrive in modo molto poetico che ha passato un periodo buio in cui si è sentito smarrito forse anche un po’ disperato… non dice se c’è stato un motivo scatenante di questa crisi, nè se ora sta meglio. Anche una nuova amica di recente mi ha confidato di aver passato un periodo pessimo con attacchi di panico un anno fa e sta ancora lavorando per uscire da questa crisi. Anch’io ho passato almeno tre periodi di crisi pesanti negli ultimi 16 anni.
San Giovanni della Croce, un mistico spagnolo del ‘500 definisce alcuni stati di profonda crisi con il nome “La notte buia dell’anima”. Questo termine viene ripreso da alcuni studiosi umanisti per indicare un periodo di desolazione e disconnessione spirituale, seguito poi da una profonda crescita spirituale. Qualcosa nella tua vita non va più e ti senti perso, però aneli a una felicità, a un paradiso perduto… senti che c’è qualcosa che ti chiama, anche se non sai cosa.
È quella sensazione, quel ricordo di aver assaporato il miele della vita a darti la spinta per uscire dalla crisi, per chiedere aiuto, per cominciare un percorso di crescita personale.
Al di là delle crisi esistenziali, dei momenti di malinconia, anche quando a qualcuno diagnosticano una malattia mortale, quando temiamo per la morte di una persona cara, o quando noi stessi ci ammaliamo e pensiamo che non avremo più tanto tempo per vivere… ecco, lì sentiamo quell’amore per la vita, quel senso di amore incondizionato per il Tutto e per le persone intorno a noi, un attaccamento a ogni istante… siamo quasi distrutti dalla nostalgia per qualcosa che abbiamo, ma che potremmo non avere più.
È come se in quei momenti si captasse improvvisamente “il senso”: amiamo la vita così com’è con tutte le sue imperfezioni e i suoi punti interrogativi.
Mia nonna materna aveva tre figli: mia mamma, mio zio Ernesto e il più piccolo che si chiamava Gino. Ogni tanto prendeva le mani dei suoi tre figli e le stringeva forte, formavano un cerchio e lei diceva: “facciamo la gioia di vivere!!” In quel momento lei era felice, era connessa ai suoi bambini e alla vita. Poi Gino a 14 anni è morto in un incidente, è stato schiacciato da un camion mentre era in bicicletta in una strada di montagna. Quel cerchio si è rotto. Mia nonna dopo diversi anni è riuscita a uscire dalla sofferenza di quella perdita anche se una parte del suo cuore è andata via con lui. Lei amava la vita comunque, lo si leggeva dai suoi occhi, anche mia mamma ama la vita nonostante le sue sofferenze, e mio zio ha una forza unica: è uno che si è sempre rimesso in piedi.
Anche se una parte di noi può essere disperata c’è un’altra parte che ama comunque la vita. Quella parte è la nostra anima.
E la nostra anima si manifesta nei rapporti con le persone, negli sguardi di commozione di due anime che si riconoscono, nelle risate improvvise, nei bagni al mare, nei cibi prelibati, l’anima si svela quando guardi una persona cara e improvvisamente senti di amarla con tutti i suoi “difetti”: quel modo di camminare, quella schiena curva, un dente storto, degli occhi che brillano, un’espressione conosciuta del volto.
Mi è successo tre volte di provare un amore incondizionato verso qualcuno, come una sorta di illuminazione. Cercherò di spiegarlo perché forse è successo anche a te, e allora mi capirai.
Una volta, quattro o cinque anni fa, ero in motorino e ho incrociato mio padre che andava al cinema: camminava un po’ zoppicando per via del ginocchio malandato, camminava con la sua andatura tipica, rigida e un po’ barcollante, e ho sentito improvvisamente di amarlo così nella sua totalità, un amore sconfinato misto alla paura di perderlo.
Qualche mese fa guardavo mio marito Alberto mentre camminava davanti a me, stavamo andando a prendere la macchina per andare in spiaggia, era abbastanza carico: portava le borse del mare, i gonfiabili per i bambini, forse anche l’ombrellone. Ho visto le sue gambe con il polpaccio ben formato che si chiude nella caviglia sottile e le Birkenstock, che gli avevo regalato qualche anno fa, e che si è “arreso” a usare da poco, nonostante diceva che non le avrebbe mai messe perché “erano da tedesco”. Anche in quel momento mi è passata una folgorazione per il suo essere unico, per il suo essere speciale così com’è, per tutto il tempo passato insieme, una commozione dell’anima, un amore incondizionato.
E, sempre di recente, era a cena da noi la mia amica Anat: in cucina c’erano 35 gradi, avevamo cucinato insieme il riso e le verdure, si sudava, lei raccontava le sue cose con il suo impeto, con il suo accento israeliano, con quel modo di gesticolare e di alzare la voce, e ridere, e di giustificarsi… non so, è difficile da spiegare, ecco anche lì ho sentito un tuffo al cuore, ho improvvisamente capito la meraviglia di questo essere unico, con le sue forze e le sue fragilità, con la sua tenacia, e la sua debolezza, il suo essere “lei”.
Forse questo amore per la vita si può provare quando hai conosciuto anche la sofferenza, quando l’hai accettata e in qualche modo sai che fa parte di noi, che non va combattuta, che non va respinta o ignorata, ma va abbracciata con grande compassione per la nostra natura umana.
Quando la accetti in modo incondizionato come dice Alberto Alberti quando dici un grande SI alla vita, nonostante tutto.
Penso che il mondo dell’Aldilà sia un mondo di amore incondizionato, un luogo dove siamo già stati e dove torneremo un giorno, ma la vera lezione è imparare a vivere con passione senza scappare da tutto quello che la vita ci da.
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