A COSA SERVE LA SOFFERENZA?

Ricordo era il 2008 e io e Alberto siamo andati a un ritiro a Roma condotto da Thich Nhat Hanh e dai monaci di Plum Village. In una delle conferenza il grande maestro zen stava parlando della sofferenza. Disse che lui non avrebbe voluto crescere un suo ipotetico figlio in un mondo dove non ci fosse stata sofferenza perché in quel mondo non avrebbe imparato la compassione e l’amore. Certo, diceva, non bisogna creare sofferenza in più, nel mondo ce n’è già abbastanza: bisogna imparare a prendersi cura della sofferenza che c’è in noi e accoglierla senza giudizio, bisogna trasformarla.
Ricordo in quel periodo provavo abbastanza sofferenza e rabbia e ero molto spaventata da essa, e mi chiedevo perché al mondo c’era così tanto dolore e perché dovevamo soffrire.

Sono passati 10 anni da allora, e molte volte me lo chiedo ancora.
Sopratutto mi dispiace quando sono i bambini che devono soffrire…i bambini che sono così puri e non hanno colpe.

Ricordo quando nacque Lorenzo che aveva delle coliche accompagnate da pianti disperati, e un’amica di mia mamma, Mercedes, disse:

“Ma almeno ai piccoli non potevano risparmiargliela questa sofferenza?”

La sua battuta mi colpì molto e questa domanda, a cui non ho dato risposta mi rimase molto in testa. I buddisti potrebbero dire che è il karma delle vite passate, quindi in qualche modo in un’altra vita avremmo seminato dolore che in questa cerchiamo di espiare.
Ma io sinceramente non amo pensare alle vite passate, preferisco pensare al presente, a questa vita e a quello che noi possiamo fare oggi per migliorarla e per cambiare noi stessi.

Penso che Thay avesse ragione: la sofferenza ci serve per diventare più compassionevoli.

Provare compassione significa comprendere in maniera empatica la sofferenza altrui.
Se non abbiamo mai provato dolore nella vita non possiamo capire cosa provano gli altri quando stanno male. Se invece abbiamo sofferto sappiamo cosa vuol dire e riusciamo a metterci nei panni dell’altra persona e starle vicino. Non occorre aver provato le stesse esperienze, gli stessi dolori, basta aver contattato la sofferenza dentro di noi e saremo in grado di capire anche quella degli altri.

Le persone che non entrano in contatto con la sofferenza e il dolore sono meno empatiche, più distaccate, più fredde.

Chi ha sofferto, ed è riuscito a contenere la sua sofferenza, sa prendersi cura anche di quella degli altri ed è in contatto con l’Amore. Queste persone sono quelle più autentiche, più sensibili, quelle che vorresti avere al tuo fianco per tutta la vita. Sono quelle che hanno saputo trasformare le ferite in perle, come mi dice spesso Virgilio, il mio maestro, citando un monaco tedesco di cui adesso in ricordo il nome.

Io penso che la sofferenza ci capiti nella vita proprio per farci diventare persone migliori.

A mio parere, anche quando ci capitano degli avvenimenti esterni, tremendi e difficili, ci capitano per farci cambiare:

– o stiamo vivendo troppo nell’ego, e quindi abbiamo bisogno di soffrire per diventare più umani, meno Super, più veri e buoni.

– oppure abbiamo del dolore nascosto che volgiamo cacciar giù nell’inconscio, non vogliamo affrontarlo. Quindi questi accadimenti sollecitano la sofferenza per farla emergere in modo che possiamo prendercene cura una volta per tutte per diventare persone migliori.

In entrambi i casi il fine spirituale è positivo, anche se si soffre.

L’insegnamento ultimo è sempre quello di ampliare il nostro cuore e amare di più.

E quindi, mi direte, questo post è un elogio della sofferenza?

Mah, detta sinceramente preferisco stare nella gioia…però la gioia vera è quella di chi sa amare tutto e tutti e prova grande compassione per gli altri, non è la gioia dell’Ego che si erige sopra le altre persone pensando di essere migliore.

Forse, per arrivare alla vera gioia, quella compassionevole, un po’ dobbiamo soffrire…

 

Eleonora

 

Se vuoi approfondire il tema della “compassione” puoi leggere anche questo post:

LA COMPASSIONE: UNA VIA PER IL PERDONO

 

 

 

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