LE COAZIONI A RIPETERE
A molti di noi sicuramente sarà capitato di notare che nella vita molte situazioni spiacevoli si ripetono continuamente senza che apparentemente si possa fare nulla per modificarne l’infausto destino.
Può capitare di essere mollati dallo stesso tipo di persone, di essere traditi, di perdere il lavoro, di non riuscire a passare un esame, di non ricevere il giusto riconoscimento per il nostro lavoro o di non avere mai un aumento di stipendio…
La psicologia dà un nome a questi avvenimenti e afferma che la causa di queste ripetizioni ha sede nel nostro inconscio.
Anche i cammini spirituali affermano che nella vita, finché non abbiamo imparato una lezione, questa tende a ripresentarsi, sempre uguale, fino a che non l’abbiamo compresa, fino a che non abbiamo vissuto consapevolmente le emozioni ad essa legate e le abbiamo accettate.
Se le emozioni (in genere rabbia e tristezza) vengono rimosse, e quindi cacciate giù nell’inconscio, saremo costretti a rivivere una situazione simile, per vedere se questa volta saremo più bravi, e spesso la situazione sarà sempre più dolorosa.
Ma cosa significa tutto ciò?
Dobbiamo arrenderci a vivere come criceti su una ruota, (come diceva una mia amica)?
In realtà prendere consapevolezza dei nostri vissuti e renderli consci ci può aiutare a cambiare il nostro destino e ciò che ci sembrava una sventura può trasformarsi in una grandissima opportunità: possiamo essere noi, in larga parte, gli artefici della nostra vita.
Conosci, possiedi e trasforma te stesso, diceva Roberto Assagioli, il fondatore della Psicosintesi.
In questo momento sto leggendo Il sentiero del risveglio interiore di Eva Pierrakos, dove si trova spiegato molto bene il meccanismo della coazione a ripetere: mi piacerebbe riuscire a trasmetterlo in modo semplice.
Noi tutti abbiamo dentro un bambino ferito che non è stato amato e riconosciuto come doveva. Sono veramente pochi quelli che in qualche modo non sono stati feriti dai loro genitori. I nostri genitori possono anche aver fatto del loro meglio per farci felici, ma essendo loro stessi esseri imperfetti e feriti hanno sicuramente fatto molti errori, se così li vogliamo chiamare.
Il nostro bambino interiore aveva bisogno di amore, rispetto, riconoscimento e queste cose gli sono arrivate solo in parte. Crescendo, nella vita, questa parte ferita di noi che è rimasta immatura, spera di riscattare il passato col presente pretendendo che gli altri, o la vita stessa, gli diano amore e riconoscimento oltre misura, anche per compensare ciò che non ricevette in passato.
In questo atteggiamento di pretesa c’è una forzatura, un pestare i piedi, un volere che gli altri siano perfetti, che si pieghino al nostro volere, e anche che la vita sia perfetta.
Questo atteggiamento infantile è fallimentare per due motivi:
- da una parte crea resistenza nelle persone che ci stanno a fianco e che istintivamente ci negano ciò che chiediamo in mondo “prepotente” (chiediamo di essere amati e non ci amano, chiediamo un aumento e non ce lo danno, chiediamo di essere cercati e nessuno ci telefona…),
- dall’altra parte, anche se ottenessimo ciò che esigiamo, non colmeremo mai la ferita infantile perché questa non si può colmare in questo modo e saremo quindi costretti a cercare ancora amore, ancora riconoscimento come se volessimo riempire un anfora bucata.
E allora come uscire da questi meccanismi?
Per prima cosa bisogna individuare quando abbiamo nuovamente messo in atto una dinamica ripetitiva (anche andare a cercare sempre un tipo di partner che ci rifiuta, e non considerare chi invece è interessato a noi, è una colazione a ripetere) e capito questo meccanismo ci dobbiamo disidentificare, come si dice in Psicosintesi. Disidentificarsi vuol dire prendere distanza da quella parte di noi, osservarla da fuori, e magari dire: “Guarda ci sono caduta anche questa volta, la mia parte bambina pretende questo!”
Certo, se sentiamo di non riuscire a fermare il treno in corsa e di non riuscire da soli a uscire da una situazione di stallo che dura da tanto tempo può essere importante chiedere aiuto a un terapeuta a una guida o un counselor. Chiedere aiuto non è segno di debolezza ma di forza: tutte le persone che oggi sono sagge hanno lavorato su di sè, con qualcuno, per parecchio tempo.
Come seconda cosa bisogna imparare a dare a noi stessi amore e riconoscimento.
C’è una parte di noi, il Sè transpersonale, che ci ama in modo incondizionato e che ritiene che noi siamo esseri unici e meravigliosi. Questa parte ci ama indifferentemente se siamo stati buoni o cattivi, e se i nostri genitori non ci hanno amato o non ci hanno guardato a sufficienza.
Contattare questa parte profonda non è sempre facile, ma tutti possono farlo. Un aiuto può essere stare in silenzio in mezzo alla natura, al mare, lungo un fiume o in un bosco, o anche starsene sdraiati sul divano ascoltando il propio respiro. Fare questo spazio interiore ci può aiutare a ritrovare questa parte di noi che ci ama, l’unica in definitiva che ci può rendere felici.
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