A maggio Lorenzo, il mio piccolo, si avviava verso i tre anni e, essendo arrivata la bella stagione, era anche tempo di spannolinamenti, come si dice in gergo tecnico.
La mamma di un suo amichetto, un giorno, all’uscita dell’asilo, mi dice che ha tolto il pannolino: “Certo all’inizio è un disastro, ma si sa, ci vuole pazienza: bisogna passarci”.
Così, presa dall’entusiasmo, decido di togliere anch’io il pannolino a Lorenzo.
Effettivamente è un disastro: non si accorge proprio che si fa la pipì addosso e in due ore si bagna dieci volte. Il che per me vuol dire cambia e lava mutande e pantaloni tutto il giorno. In più spesso si mette a piangere perché per lui è umiliante farsi la pipì addosso.
“Eleonora, aspetta un attimo, cosa stai facendo?”, mi chiedo. “Ma perché deve essere tutto così difficile?”
Decido allora di andare a “spulciare” su internet e scopro che una famosa puericultrice americana insegna a togliere il pannolino in tre giorni.
“Ok, brava, ma come fa?”
Fa la cosa più semplice del mondo: aspetta che il bambino sia pronto! “Se appena tolto il pannolino il bambino si fa la pipì addosso dieci volte rimettigli il pannolino e riprova tra un mese! Se di nuovo dopo un mese la fa dieci volte vuol dire che non è pronto, rimanda di un altro mese”.
Decido così di riavvolgere il nastro, di mettere via la mia parte perfezionista, la parte di mamma “che suo figlio deve seguire le tappe prestabilite”, decido di amare un po’ di più lui e un po’ di più me. Rimetto il pannolino. E immancabilmente, come sempre quando accetti e lasci andare, tutto fila liscio. A luglio, nel giro di due giorni, togliamo il pannolino e gli incidenti di percorso sono pressoché nulli.
Ancora una volta mio figlio mi insegna a vivere.
Mi insegna che bisogna saper aspettare, bisogna seguire l’istinto e non le regole prestabilite, bisogna ascoltare se stessi, non gli altri.
I bambini crescono, è la Natura, arriva un giorno in cui mangiano le pappe, anche se non è per forza al sesto mese, che camminano, anche se non è per forza a un anno, che lasciano il ciuccio e il pannolino, che imparano a fare le scale senza mano, che parlano in modo corretto. Arriva sempre quel giorno, e noi non dobbiamo forzare.
Dobbiamo invece saper ascoltare, e saper ascoltarci per capire quando è il momento giusto per noi e per loro.
Dobbiamo saper aspettare.
Ma io penso che questo insegnamento non è solo legato al crescere un bambino, è un insegnamento valido per tutti noi, perché anche noi adulti abbiamo una parte piccola che non è sempre pronta a fare certe cose, e non va forzata. E smettiamo una buona volta di giudicarci dicendo che non facciamo abbastanza, che dovremmo fare di più, che così non andiamo bene. Impariamo ad accogliere le nostre parti fragili, le nostre debolezze, a guardarci con più tenerezza e Amore.
Andiamo bene così come siamo, come va bene un gatto, come va bene un fiore, come va bene il mare, come va bene un bambino.
Impariamo a essere pazienti con noi stessi, solo così possiamo crescere veramente.
Più proseguo in questo incessante lavoro di sviluppo personale più mi rendo conto che noi potremmo realmente essere la parte più bella e vera di noi…
Molte volte abbiamo delle intuizioni sane che ci portano verso il Sè, verso lo sviluppo del lato migliore di noi, ma poi qualcosa accade e ce le fa saltare. Come diceva Yoav Dattilo in un video fatto poco fa, decidiamo di metterci a dieta e ci facciamo fuori una torta intera, e così per tutte le decisioni importanti della vita: iscriversi a un corso, mollare un compagno, mangiare sano, osare un nuovo progetto… partiamo carichi e poi ci impantaniamo.
La Volontà è ciò che ci può far uscire da queste difficoltà, è il motore più forte che abbiamo…come voglio essere? È la domanda da porsi.
Come voglio essere significa andare verso la Luce.
Ma molte volte non basta chiedersi come vogliamo essere, dobbiamo anche chiederci perché poi ci blocchiamo. Perché facciamo il contrario di quello che ci eravamo prefissi?
Dobbiamo anche andare verso l’Ombra.
In ognuno di noi c’è una parte nera, una forza distruttiva che molti chiamano il Sabotatore.
È inutile fare finta che non ci sia perché più lo neghi più diventa forte.
Il Sabotatore va guardato in faccia, va capito e va svelato.
Non c’è altro da fare, c’è solo da guardarlo e poi guardarlo ancora, e poi scovarlo dietro a scuse, comportamenti, lamentele. Accettiamo che c’è, punto. E aspettiamo con calma che puntandogli la luce addosso, diventi più piccolo, come un vampiro che all’alba si dissolve.
Per guardarlo ci vuole tempo, pazienza, e spesso l’aiuto di qualcuno che ci accompagni in questo cammino di conoscenza di sé.
Sto leggendo il libro Il male e come trasformarlo della famosa trilogia di Eva Pierrakos. Ciò che mi ha colpito di più è che ogni nostra sofferenza e ogni difficoltà che incontriamo nella vita sono da ricondurre a tre forze che agiscono in noi:
LA PAURA
L’OSTINAZIONE (volere che le cose vadano come vogliamo noi)
L’ORGOGLIO
Ogni volta che ci troviamo in difficoltà, proviamo a guardare in faccia la situazione:
Di cosa ho paura?
Che cosa non sto accettando?
Che immagine di me crollerebbe se dicessi la verità?
Non siamo perfetti, la perfezione non è la condizione umana, ma cerchiamo almeno di essere veri!
Per sconfiggere il Sabotatore possiamo chiamare a noi le tre forze contrarie di quelle sopracitate:
L’AMORE
IL LASCIARE ANDARE (lasciamo che le cose siano semplicemente quello che sono)
L’UMILTÀ (esprimere le proprie debolezze libera sempre)
Dobbiamo cercare infine di amare anche il Sabotatore, è una parte di noi, una parte che in fin dei conti vuole difenderci, che se analizziamo con attenzione può svelarci delle cose importanti, può aiutarci a mettere dei limiti, a farci rispettare, a non voler essere troppo perfezionisti. È una parte di noi ferita che vorrebbe amare, ma ha paura.
Poi, forse un giorno, se ascoltato e accettato, il Sabotatore, da leone tremendo, si trasformerà in un micetto da accudire…(massì perché no, proviamo a fare le coccole al Sabotatore, potrebbe essere un modo per metterlo ko senza spargimenti di sangue!)
Eleonora
L’altro giorno ho letto un libretto di Eva Pierrakos che si chiama “Dal dolore alla felicità“, non è poi così facile quel libro e da un certo punto mi ha anche un po’ scombussolato, però c’è questa parte iniziale che penso sia fondamentale per cambiare ottica di vita e uscire da situazioni di tristezza e e autocommiserazione. Proverò a condividere in breve il messaggio che è alla base di questo libro.
Fondamentalmente ci sono due flussi di Amore: uno è quello egocentrico che ci spinge a ottenere per noi il massimo riconoscimento, ammirazione, successo, denaro, ascolto, attenzione ecc. Questa ricerca di Amore che mette sé al centro non è molto spirituale e tende a creare dentro di noi un contino senso di vuoto che si perpetua nel tempo: abbiamo bisogno di più successo, di più riconoscimento, di più soldi, di più amore, di più tutto. Questa modalità ci impedisce di essere felici realmente: è come un vaso bucato che perde e chiede di essere costantemente riempito.
Poi c’è una corrente più spirituale, che è quella del Dare, è quella in cui vuoi il tuo bene, ma vuoi anche e soprattutto il bene degli altri, delle persone che ti stanno vicino, dei figli, dei parenti, degli amici, dell’umanità e del Pianeta. Se entri in questo flusso non sei più separato dal mondo, ma entri nella catena dell’Amore Universale, e allora diventi un vero e proprio Canale di questa Energia e stai bene, sei felice, senti di avere senso e che la vita ha un senso.
Ho riflettuto molto su questo concetto e ho capito che ognuno di noi ha una possibilità di entrare nel secondo tipo di Amore, nel suo modo specifico. Ho notato inoltre che le persone più felici e in pace con se stesse sono quelle che si sono un po’ messe da parte e hanno servito una grande causa, hanno dato Amore agli altri, hanno lascito perdere il loro tornaconto e, aiutando gli altri, hanno in realtà salvato se stesse (Es. Thich Nhat Hanh, Dalai Lama, Madre Teresa, Babacar M’Bow, Assagioli, i volontari di tutto il mondo ecc, ecc.)
Certo non è così facile, noi tutti abbiamo l’Ego: questa parte bambina insoddisfatta che chiede, chiede, chiede, pretende, e non è mai contenta. Però la buona notizia è che tutti noi, per natura, abbiamo anche la parte luminosa che vuole essere un anello della catena.
Come dice Yoav Dattilo, in uno dei tanti video che abbiamo fatto insieme, non è necessario voler essere solo Luce, e rinnegare l’Ombra, accettiamo di avere entrambe le parti, accettiamo di avere bisogno di coccolare un po’ la parte egocentrica, però ricordiamoci che solo la seconda via è quella che può renderci veramente felici e in modo duraturo.
Iniziamo, non senza un piccolo sforzo, a dare ogni giorno un po’ di quello che possiamo dare, e vediamo cosa succede;)
ESERCIZIO
Prova a scrivere ogni giorno sul tuo quaderno delle pratiche 4/5 cose che puoi fare oggi per aiutare gli altri. Io l’ho chiamato il quaderno del Servizio.
Ecco alcuni esempi di piccoli servizi quotidiani:
Eleonora
A tutti è capitato almeno qualche volta nella vita di essere invidiosi. In adolescenza quasi sempre provavamo invidia per compagni o le compagne che pensavamo essere meglio di noi: più belli, intelligenti, ricchi, simpatici ecc.
Io per esempio ancora oggi tendo a invidiare le donne più belle di me, chi fa un lavoro che ama e ha riconoscimento sociale ed economico, chi ha tante amiche con cui uscire il sabato sera, chi ha un marito “sempre presente e affettuoso”, chi ha tre figli ecc..
Il fatto è che non posso certo lamentarmi, ho una buona vita e ho imparato ad amarla, ma certe volte, chissà perché, non riesco a vedere le cose belle che ho e guardo a quelle che non ho.
Questo comportamento un po’ adolescenziale nasconde poca autostima e una scarsa fiducia in se stessi e nella vita.
Il mondo dei social network, e Facebook in particolare, fomenta questa mania del confronto: possiamo andare a sbirciare le vite degli altri, come si vestono, che fidanzati hanno, quanti figli, in che casa vivono, se hanno la barca o un lavoro remunerativo…
Questo comportamento è in realtà una perdita di tempo, di energia e a livello inconscio rafforza il nostro senso di inadeguatezza perché è come se dentro di noi martellassero certe vocine che dicono: “Guarda lui come è bravo! Lei è così bella, ma come sono fortunati quelli! Anch’io vorrei essere così, a me non ne capita mai una dritta..” e via dicendo.
Fai attenzione: quando invidi gli altri in realtà stai svalutando te stesso, sotto sotto pensi di non andare bene, o di non valere abbastanza.
Altre volte, spiando gli altri ci escono commenti negativi: “Che sfigato! ma che cosa scrive? Io non farei mai così!” Attenzione anche le critiche possono nascondere dietro un sentimento di invidia!
Da qualche parte ho letto “Non invidiare mai gli altri perché non sai come stanno realmente”.
In effetti tutta questa vetrina dei social network è solo apparenza, e penso che più hai bisogno di apparire meno in realtà stai bene…
Altre volte ci si trova a rallegrarsi se agli altri qualcosa va storto….”mal comune mezzo gaudio”, ci hanno insegnato da piccoli.
L’invidia però può essere utilizzata e trasformata in modo che non nuoccia più alla nostra salute, alla nostra autostima, e nemmeno ai poveri bersagli del l’invidia…ma come?
Per prima cosa riconosci di essere invidioso. Non c’è bisogno che metti i cartelli in giro, però devi dire la verità almeno a te stesso. Non c’è niente di male a essere invidiosi, tutti abbiamo dentro di noi delle parti meno evolute.
– Accetta la tua invidia.
– Cerca quindi di capire di chi sei invidioso e perché. Capire questo ti può aiutare a rivelare i tuoi desideri più nascosti: vuoi una relazione che non hai? Vuoi un figlio? Vuoi cambiare lavoro? Vuoi perdere peso? ecc.
– Una volta fatti venire alla luce i tuoi desideri l’importante è AGIRE.
La verità è che c’è spazio per ognuno di noi. La più grande bugia che l’invidia ci racconta è che non possiamo far altro che essere invidiosi; essa in modo perverso ci spoglia della nostra volontà di agire quando proprio nell’azione si trova invece la chiave della libertà. (Julia Cameron).
Tutte le volte che ti senti invidioso chiediti cosa c’è di te dietro a questo sentimento: una svalutazione di te? Un desiderio inespresso? Riporta l’attenzione su di te e lascia andare l’altro!
C’è una frase che mi disse la mia terapeuta tanti anni fa:
“Impara ad accettarti e ad amarti così come sei. Ci sarà sempre qualcuno sopra di te e ci sarà sempre qualcuno sotto…”
ESERCIZIO:
Crea la mappa dell’invidia (di cui parla Julia Cameron ne La via dell’artista. Come ascoltare e far crescere l’artista che è in noi) per sfruttare questo scomodo sentimento in modo positivo:
1) Prendi un foglio e fai tre colonne
2) A destra scrivi chi invidi, scrivi almeno 5 persone (es. Beatrice, Dario, Sara….)
3) Nella colonna a fianco scrivi il perché (es perché ha trovato un lavoro che le piace, perché è fidanzata, perché sa sciare….)
4) Nella terza colonna scrivi un’azione che ti porti verso un atto creativo, un rischio, che ti porti fuori dall’invidia (es. anch’io devo impegnarmi per rendere il mio hobby della scrittura in un lavoro, mi iscrivo a un corso di sci….)
Questo semplice esercizio ti aiuterà a capire quali sono le cose importanti per te, e forse alla fine riuscirai a ringraziare chi prima invidiavi…
Eleonora
Tutti noi abbiamo dentro un bambino o una bambina gioiosa.
Questo bambino è un dono prezioso è la parte più autentica di noi, è importante sapere che c’è, è fondamentale farlo felice così lui ci aiuterà a riscoprire la gioia.
Come si fa a fare felice questo bimbo o questa bimba? Con la creatività.
La bella notizia è che tutti noi siamo creativi perché tutti noi siamo stati bambini. I bambini sono creativi per natura: cantano, ballano, inventano storie, grazie a un legnetto preso per terra o a un filo d’erba mettono in scena le più esilaranti avventure drammatiche.
I bambini andrebbero sempre incoraggiati nel loro essere creativi, bisogna preservare la loro spontaneità di gioco senza deriderli, senza giudicarli. Esprimere un giudizio stroncante o sminuire i giochi dei bambini significa creare in lui o lei una ferita che si porterà avanti in età adulta. Tutti noi siamo stati in parte bloccati da giudizi e critiche: i nostri genitori, le maestre a scuola, un’insegnate di musica, la maestra di danza….e chi più ne ha più ne metta. Queste persone, inconsapevolmente, hanno fatto un grande danno alla nostra creatività e così molti di noi si trovano ad aver chiuso in cantina la loro bambina o il loro bambino gioioso, che a furia di stare là dentro si è sentito triste e solo.
Da alcuni anni conduco gruppi di sblocco creativo liberamente ispirati al libro La via dell’artista di Julia Cameron e alle mie esperienze di teatro e danza. Basta poco ad accendere la creatività nelle persone: queste parti di noi non vedono l’ora di usciere allo scoperto, di essere nuovamente incoraggiate e di divertirsi, di dire “Ehi ci sono anch’io!”. La gioia che scaturisce dal lavoro sulla creatività è una fonte enorme di energia che ci sostiene, che ci fa scoprire di nuovo il lato bello della vita e le sue meraviglie.
Se ripenso alla mia infanzia ricordo io e mia sorella che giocavamo in salotto mettendo su i vinili 33 giri con le canzoni anni ’80: facevamo balletti improvvisasti, coreografie, capriole, inventavamo storie di mondi immaginari.
I bambini possiedono una grazia naturale che gli adulti non hanno più, guardare un bambino che gioca, canta e balla è riscoprire la bellezza.
Durante i miei gruppi metto delle musiche latinoamericane o bob Marley o qualche canzone allegra che ascolto in quel periodo e faccio ballare gli allievi: la regola d’oro è essere ridicoli il più possibile! Ci hanno talmente inculcato le nozioni di stare a tempo, di tenere il ritmo, di essere coordinati che per forza nessuno si sente più in grado di ballare in pubblico. Se le persone sentono di poter essere ridicole, di non dover tenere il tempo, di non giudicare nè sè nè gli altri si sentono finalmente di poter ballare.
Dovete sapere che io canto tutto il giorno, ma siccome da bambina mi dissero che ero stonata, ho sempre quella convinzione sotto e anche se mi piacerebbe fare un corso di canto mi vergogno troppo. Il mio migliore spettatore è mio figlio di due anni e mezzo, a cui non importa se sono stonata, se sbaglio le parole…lui è contento e canta anche lui storpiando le canzone e infilandoci dentro parole come cacca e spussa, e così ci divertiamo da matti. In quei momenti so che è la mia bambina gioiosa che gioca e si diverte con lui!
Questa sera parte uno dei miei corsi, se volete venire siete ben accetti, altrimenti leggetevi il libro della Cameron La via dell’artista. Come ascoltare e far crescere l’artista che è in noi e iscriverti a qualsiasi corso vi ispiri: pittura, disegno, danza, balli caraibici, tango, improvvisazione teatrale, chitarra, canto, regia, scrittura creativa…e farete felice la parte più vera di voi!
L’altra sera erano le 18.00 ma dal buio sembrava notte fonda. Stavo spingendo il passeggino di Lorenzo mentre andavamo a Messa. Passando sul ponte di Castelvecchio, abbiamo incontrato un ragazzo che suonava la chitarra e cantava una canzone sugli eroi della quale ho sentito solo un paio di versi:
“we can be heroes…
just for one day…”
Davanti a lui, appoggiato per terra, c’era il solito cappello utile a raccogliere qualche moneta. Lorenzo ha detto: “Lui canta!”.
Era entusiasta.
Gli ho detto di sì e poi che era molto bravo anche a suonare la chitarra. Oltre a cantare bene, mi ha colpito perché c’era piuttosto freddo (6 gradi) e lui era vestito con pantaloni lunghi, maglietta e camicia mezza aperta. Avessi io quel look sarei malato 7 giorni su 7, 24 ore su 24… come gli orari di una farmacia.
Sarà l’età.
Mentre continuavamo la nostra passeggiata ho mostrato una bellissima luna nascente a Lorenzo ma a lui il colore arancione non piaceva. Gli ho detto che man mano che saliva nel cielo sarebbe diventata bianca e argentata e lui si è messo più tranquillo.
Poi mi ha indicato delle luminarie di Natale ancora accese a febbraio e mi ha detto che sarebbe arrivato Babbo Natale. E’ stata dura convincerlo che era appena passato e bisognava aspettare quasi un anno per rivederlo dalle nostre parti…
Intanto quel verso della canzone sentito poco prima continuava a risuonare nelle mie orecchie “We can be hero…/ Possiamo essere eroi…”. Da qualche parte in me nascevano delle sensazioni, pensieri ed emozioni che si amalgamavano come i colori ad olio su una tela… e una grande domanda: “Noi possiamo essere eroi?”
In qualche modo quel ragazzo che cantava mi sembrava un po’ un eroe: qualcuno che sfidava il freddo e la notte e con la sua voce scaldava lo stato d’animo dei passanti, ed era in grado di regalare anche attimi di pura gioia e entusiasmo, come è successo a Lorenzo, doveva essere per forza un eroe.
Ho pensato che anche le persone che gli davano una moneta – cosa che io non ho fatto e di cui mi sono subito pentito – in qualche modo potevano essere degli eroi.
Poi mi sono detto: “Bè dai, anche tu Albe sei un po’ eroe che ti prendi cura di Lorenzo con amore…”. Questo pensiero mi ha tranquillizzato. Pensandoci bene faccio sempre un po’ fatica in questi casi a capire chi si prende cura di chi: “Sono io che mi prendo cura di Lorenzo, o forse è lui che in qualche modo si prende cura di me, che mi dà più amore di quanto in realtà gliene riesca a dare io…?”. Ai posteri l’ardua sentenza.
Ma tornando al tema degli eroi: chi sono gli “eroi”? Possiamo essere eroi?
Una definizione di “eroe” che mi è piaciuta viene da un fumetto (“Deadpool, il mercenario chiaccherone”):
“4 o 5 momenti bastano per essere eroe, tutti pensano che sia un lavoro a tempo pieno, ti svegli da eroe, ti lavi i denti da eroe, vai a lavorare da eroe ma non è così, in tutta la vita ci sono solo 4 o 5 momenti che contano davvero, momenti nei quali hai la possibilità di fare una scelta, di fare un sacrificio, correggere un difetto, salvare un amico, risparmiare un nemico… In questi momenti tutto il resto non conta.”
Trovo questa definizione rassicurante: se si tratta di poche occasioni nella vita forse effettivamente tutti possiamo essere eroi, anche solo per un giorno, come diceva la canzone di David Bowie…
Pensandoci, io alla fine mi sento un eroe quando…
Alberto