PADRI 3.0
Stamattina, come tutte le mattine, ho accompagnato Lorenzo all’asilo. Mentre uscivo ho visto un altro padre con una bambina in braccio: era alto come me, aveva la barba lunga come la mia, era abbastanza paffuto e soprattutto rideva e giocava con la piccola come se fossero a Gardaland.
Sei minuti prima io passavo nello stesso punto con Lorenzo in braccio e, se mi fossi visto da fuori, avrei assistito ad una scena identica.
Non so cosa rappresenta Lorenzo per me, so solo che quando torno a casa la sera mi corre incontro gridando “Papà!” e quello è il momento più entusiasmante della giornata.
Lo prendo al volo e lo sollevo: in quei momenti il treno dei pensieri si ferma, deraglia, svanisce… e rimaniamo solo io e lui uniti da un sorriso e una gioia che è un filo diretto tra il cuore e labbra.
Poi Lorenzo inizia a raccontarmi che sta giocando con i birilli, che sta leggendo una storia con la mamma, che oggi all’asilo si è rotto un bicchiere, che Giacomo Pulce (uno dei nostri due gatti) l’ha graffiato e mi fa vedere la mano… ed io non riesco a togliermi la giacca e la cravatta perché non vuole scendere dalle mie braccia.
Mio padre non era così.
Magari non ricordo esattamente tutto quello che succedeva quando avevo l’età di Lorenzo (2 anni e mezzo), ma non era così. Mio padre ci ha avuto da giovane: aveva 26 anni quando è nato il primo figlio (mio fratello maggiore), 28 quando sono nato io e 32 quando è nata mia sorella.
Era entusiasta e la vita gli sembrava ricca di sorprese e di opportunità da cogliere. Era molto concentrato sulla sua realizzazione, ma non l’ha mai raggiunta, ed ha trascorso tutta la vita lottando con le sue ombre. Per questo ha trascurato molto noi e sua moglie, nostra madre, tanto che alla fine il disordine della sua vita gli ha portato via anche il matrimonio e la famiglia.
Questo però non gli ha mai impedito di ripetere sempre e solo una cosa a me, mio fratello e mia sorella: “Voi siete meravigliosi, siete la cosa più bella che ho fatto nella mia vita…” (vedendo il resto non era difficile credergli). Quelli comunque erano i suoi momenti più autentici, lo dicevano i suoi occhi e il suo cuore.
Anche se sentiva il peso del nostro giudizio per la sua vita sregolata, ci ripeteva sempre la stessa frase: “Siete la cosa più bella che ho fatto…”. Quando incontravamo casualmente i suoi conoscenti, la prima cosa che questi ci dicevano era che nostro padre parlava sempre di noi.
Alla fine quella è la cosa che ho imparato ad apprezzare di più di lui e che me lo ha fatto vedere sotto una luce di amore, per fortuna prima che se ne andasse. Per questo non ho mai pensato razionalmente “Non sarò un padre come lui…” perché avrei negato l’amore che, in qualche modo, ci aveva sempre riservato.
Tanti miei amici e coetanei sono diventati padri in questo periodo, come me, e vedo che siamo tutti uniti da un approccio che, pur con tutte le differenze, è molto simile… siamo una generazione di padri 3.0, di padri che cercano di essere presenti, di padri che amano e vogliono trascorrere il loro tempo con i loro figli, che gli cambiano il pannolino e gli fanno il bidet, che sanno preparare un biberon e si ustionano il dorso della mano per non rischiare di dar loro un latte bollente, che li apprezzano e si divertono a sdraiarsi nel lettone con loro, a raccontare storie, a far loro il solletico o farselo fare e a ridere con gioia insieme.
I nostri figli negli anni cresceranno, il rapporto con loro cambierà, ma non dimentichiamoci mai di ripetere loro:
“Sei la cosa migliore che io abbia fatto nella mia vita!”,
anche quando saranno offesi o arrabbiati con noi, in qualche modo, il loro cuore, ci sentirà!
Alberto
“Credo che ciò che diventiamo dipende da quello che i nostri padri ci insegnano in momenti strani, quando in realtà non stanno cercando di insegnarci. Noi siamo formati da questi piccoli frammenti di saggezza.”
(Umberto Eco)
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