Ho passato i 20 anni da un po’…
Ho anche passato i 30, e pure i 40.
Non sono vecchio, ma un po’ ho vissuto.
Stamattina è un sabato che sembra una domenica. Fuori dalla finestra della sala scorre l’Adige in una giornata invernale di sole. La cassa Sonos diffonde in tutta la sala le note di una mia playslist di Gianluca Grignani.
Non posso dire da dove, non se da qualche angolo recondito della mente o se da un ventricolo del cuore, mi è arrivata una consapevolezza: quella del tempo che non ho perduto.
Nella vita facciamo tante cose: ne abbiamo fatte in passato, ne facciamo ora, ne dobbiamo fare domani.
Molte delle tante cose che facciamo scivolano via, come foglie trasportate dal fiume. Galleggiano sulla superficie della nostra vita e se ne vanno, senza lasciare traccia.
Se ti volti indietro, dopo un giorno o un anno, non le vedi più. Quelle foglie hanno perso forma e colori.
Ci sono due modi in cui perdiamo tempo: dietro ai passatempi e in tutti i momenti che abbiamo vissuto in modo non autentico.
I passatempi costellano la nostra vita, quella di ieri e quella di oggi. Passare tempo sui social, perderci dietro alle notizie di attualità, farci assorbire da vortici di pensieri inconcludenti… Tutto il tempo dedicato a questi passatempi è perso e non ci lascia niente, non ci trasforma, è sottratto alla nostra vera vita.
Un altro spaccato di tempo perso è quando non siamo stati autentici. I giorni in cui avevamo una maschera, in cui eravamo troppo insicuri o spaventati per essere noi stessi. E perché ci mascheriamo? Perché il mondo là fuori, delle volte, ci fa paura. E quando ti nascondi, quando non sei autentico, non vivi veramente. Perdi tempo.
Cos’è che ci fa paura?
Il giudizio degli altri. L’opinione di persone che incontri per la prima volta a una festa, e che magari non rivedrai mai più. La mancata attenzione di una donna che ti piace. La valutazione del tuo capo al lavoro. Il parere del tuo migliore amico. Un rimprovero dei tuoi genitori.
E a pensarci dopo, è una cosa quasi ridicola perdere la nostra autenticità per questi avvenimenti. Quando alla fine scopri un po’ chi sei, e impari a volerti bene così come sei, questa paura svanisce: si asciuga come la rugiada mattutina quando spunta il sole.
Ma per tanto tempo questa paura è reale, una minaccia vera e cruda come una spada tagliente appoggiata sul collo nudo. Una paura che ci condiziona, ci allontana da chi siamo. Blocca la nostra espressione, o almeno quella più pura.
Vediamo la nostra immagine riflessa negli occhi degli altri. E se il riflesso non è amorevole, andiamo in cortocircuito.
E così gli occhi degli altri possono diventare killer.
Ma come facciamo a vederci se non attraverso gli occhi degli altri?
Centinaia di libri di psicologia e filosofia consumati su questo dubbio…
Chiudendo i nostri occhi.
Ascoltandoci dentro.
Isolandoci.
Avendo l’accortezza di essere coerenti con quello che siamo.
Sapendo che quello che siamo va bene, anche se ci sembra di non andare bene.
Non ci sarebbe un artista che scrive una canzone, che la interpreta, un pittore che dipinge una tela, uno scrittore che scrive una storia, se non andassimo bene come siamo.
E se il tempo in cui non ero autentico è stato tempo perso… qual è il tempo che non ho perso?
Il tempo che non ho perso è quello dove ho messo il cuore in quello che facevo.
Tutta la vita in cui ero in contatto con me stesso e con gli altri.
Ma anche solo con me stesso.
Il tempo che non ho perso è quello dei giri in Vespa a Genova inseguendo i miei sogni e le mie fantasie. I miei momenti a contatto con il mare. Il tempo in cui ho contemplato la mia città dalle alture di Righi, dove la vista si perde dal porto della città fino al promontorio di Portofino. Dove la vista spazia dal cemento dei palazzi della città e per tutte le colline verdi dei comuni che si tuffano nel mare.
Il tempo che non ho perso sono stati i baci veri. Le notti ritagliate al sonno per unire tutto me stesso alla vita di qualche donna che ha deciso di fare un po’ di strada con me, una passeggiata, una vacanza o un pezzo di cammino più intenso.
Il tempo che non ho perso è quello condiviso con amici o le amiche ai concerti. Quei concerti di gruppi o cantanti che con le loro musiche e parole ti fanno vibrare l’anima.
Il tempo che non ho perso è quello in cui ho macinato chilometri in macchina in compagnia dei miei migliori amici. Quelli per andare a Milano, quelli serali in cui vagavamo per le città senza una meta se non quella di trovare ognuno un po’ di sollievo nel cuore dell’altro.
Il tempo che non ho perso è quello che ho usato per raggiungere i miei obiettivi di vita come l’università o il counseling, quello usato per coltivare gli sport che mi piacevano.
Il tempo che non ho perso è quello in cui sono stato sincero con le persone anche se le ho fatte soffrire.
Il tempo che non ho perso è stato quello in cui sono stato vicino a una persona che non stava bene e ho cercato di darle conforto.
Il tempo che non ho perso è quello in cui ho riso di gusto con amici simpatici, di una sera o di una vita.
Il tempo che non ho perso è quello in cui ho cambiato i pannolini ai miei figli, li ho guardati dormire, li ho presi in braccio e cullati.
Il tempo che non ho perso è quello in cui ho giocato a pallone con mio figlio, con i miei amici, con persone che avevano bisogno di una persona ed io sono andato a tappare un buco.
Il tempo che non ho perso è quello trascorso facendo giocare i miei gatti, quelli in cui li ho coccolati, anche se sono morti e sembra che quel tempo non sia stato utile, ma dare amore è sempre utile.
Il tempo che non ho perso è quello in cui mi sono fermato ad annusare la lavanda, quello in cui ho scattato delle foto notturne, quello in cui mi sono scaldato le mani ghiacciate col calore vivo di un fuoco.
Il tempo che non ho perso è quello in cui ho scritto dei post che hanno aiutato qualcuno a sentirsi un po’ meglio, magari perché hanno scoperto che quello che hanno vissuto loro lo viveva anche qualcun altro, e allora si sono sentiti meno soli.
E tu, qual è il tempo che non hai perso?
Alberto
C’è un antico detto Zen che dice: “Dovresti fermarti a meditare per almeno 20 minuti al giorno. A meno che tu non sia troppo occupato. In questo caso dovresti meditare per un’ora.”
Penso che la maggior parte di noi non conosca il potere immenso della meditazione.
Stare immobili ad ascoltare il respiro ci può sembrare molte volte una perdita di tempo, così indaffarati come siamo dietro alle nostre faccende e ai nostri obiettivi da raggiungere. In realtà è proprio vero il contrario, se in noi regna un emozione di pace e benessere tutte le cose intorno a noi andranno molto meglio. E ci troveremo ad avere intuizioni, buone idee e a essere più efficaci e focalizzati nel lavoro. Ho notato che se faccio meditazione poi registro i video più velocemente, scrivo meglio, è come se “canalizzassi’ i contenuti che voglio dire senza metter troppo dentro la mente.
Ma la meditazione influisce anche sul nostro stato di benessere e incredibilmente sull’umore delle persone che vivono con noi o che ci frequentano.
In questi giorni mi svegliavo di cattivo umore e con poca voglia di fare… in più l’idea di dover andare a svegliare mia figlia di 6 anni e convincerla a prepararsi per andare a scuola era diventando un incubo. Io mi avvicinavo al letto per svegliarla e un mastino abbaiante si era impadronito di quel musetto angelico dai riccioli biondi facendo scappare anche la persona più coraggiosa. Allora cercavo di essere paziente e gentile, ma dentro di me emozioni di rabbia e sconforto facevano da padrone. E il risultato immediato di capricci, sfide, lamentele e litigate finiva per essere la quotidianità dei nostri risvegli. Ieri però ho ideato la “meditazione della guarigione” (la puoi trovare sul mio canale youtube) e mi sono ripromessa di farla sia prima di andare a dormire che ancora sotto le coperte al suonare della sveglia. Così stamattina, appena suonata la sveglia, ho attaccato la meditazione della guarigione, e mi sono detta: “Solo dopo andrò a svegliare Luce”. Sono passati i dieci minuti e quando stavo per alzarmi e andare nella sua camera me la sono trovata già vestita di tutto punto con la sua divisa blu che mi sorrideva e diceva educatamente: “mamma per piacere mi fai la coda?”. Non potevo credere ai miei occhi. Mi sono complimentata con lei per essere stata così brava, ma anche con me stessa per aver iniziato questa pratica mattutina.
I bambini in particolare reagiscono immediatamente ai nostri umori e alle nostre emozioni per cui se non abbiamo voglia di fare una cosa, e la facciamo perché ci sentiamo costretti, reagiscono con noi nel peggiore dei modi. Ma quando devi prenderti cura di qualcuno tutti i giorni da quando è nato, fino a quando non diventa indipendente, ci saranno milioni o miliardi di momenti in cui non hai voglia di preparare il pranzo o la colazione, di andarli a prendere a scuola, di portarli a danza, a calcio o a catechismo…allora hai due possibilità (certo puoi anche delegare a qualcuno che lo faccia per te, ma non sempre è possibile): o lo fai controvoglia e si innescheranno facili conflitti, o ti prenderai cura delle tue emozioni spiacevoli, magari appunto con una meditazione, e in questo modo trasformerai immancabilmente te stesso e le reazioni delle persone che ti circondano.
Questa tecnica non è valida solo nel rapporto con i tuoi figli, ma anche con il compagno, i genitori, i colleghi al lavoro…. provare per credere!
Eleonora
ps se vuoi provare anche tu la meditazione della guarigione la puoi trovare qui:
Uno degli errori maggiori che tutti noi facciamo è di non prenderci cura delle nostre emozioni difficili.
La tendenza è o ignorarle e fare finta che non ci siano, in questo modo vengono ricacciate nell’inconscio e finiranno per riemergere più forti e pericolose di prima, oppure agiamo spinti da esse, anche in questo caso non combineremo nulla di buono. Facciamo un esempio. Se sto vivendo una condizione di rabbia e continuo a lavorare, cucinare, sistemare la casa, l’energia della rabbia finirà in quello che sto facendo: una pietanza da mangiare, una presentazione, un disegno… la rabbia finirà inoltre nelle relazioni con le persone che mi stanno intorno. Allo stesso modo se sono triste e non mi prendo cura della mia tristezza ogni cosa che faccio non verrà particolarmente bene.
Il punto fondamentale però non è negare l’emozione, o condannarla, perché le emozioni ci vogliono dire qualcosa, sono campanelli d’allarme e cercano di comunicare con noi. È come se un bambino piccolo fosse dentro di noi e alle volte urla, scalpita, o piange per attirare la nostra attenzione. Ignorarlo o fare finta che non ci sia non farà altro che lasciare questo bambino ancora più insoddisfatto. Se questo bambino non viene ascoltato per molto tempo la sua insoddisfazione o la sua tristezza si portà manifestare sotto un sintomo fisco, o un periodo di depressione, o un incidente. Per questo motivo è molto importante, per noi e per gli altri, prendersi cura di queste emozioni, ogni qual volta si fanno sentire.
Il maestro zen Thich Nhat Hanh ci dice spesso di accogliere queste emozioni con un sorriso: “Benvenuta tristezza, so che ci sei, so che passerai.”, “Benvenuta rabbia, so che si sei, so che passerai.”
Se io mi rendo conto di essere triste o arrabbiato sarò già a un passo dalla vittoria.
Allora cosa posso fare quando capisco di essere in preda a emozioni difficili? Prima di tutto devo prendermi una pausa da quello che sto facendo: fare un respiro profondo, accendere una candela, fare una preghiera, fare una cosa anche piccola che mi fa stare bene in quel momento. In questo modo l’energia della consapevolezza abbraccerà l’emozione difficile, come una mamma (una mamma buona e capace di accogliere le sue emozioni) fa con il suo bambino.
Se noi non facciamo qualcosa per prenderci cura delle nostre emozioni difficili finiremo per creare dei danni a noi e agli altri. E qui Thay fa un esempio molto calzante: se io sono in preda alla rabbia e non mi prendo cura della mia rabbia è come se fossi dentro alla mia capanna e questa iniziasse a prendere fuoco. Se non spengo subito l’incendio tutta la mia capanna brucerà. Non posso proseguire a fare il bucato, a lavare i piatti, a fare i compiti con mio figlio se la mia capanna sta andando a fuoco.
L’altro giorno stava andando a fuoco la mia capanna: iniziava a montarmi dentro molta rabbia perché mia figlia Luce (6 anni) non voleva andare a lavarsi i denti, nonostante l’avessi invitata (gentilmente) più volte a farlo. A un certo punto invece di alzare la voce e iniziare una brutta litigata, mi sono sdraiata sul letto, ho chiuso gli occhi e ho iniziato a respirare. Ecco, stavo iniziando a spegnere l’incendio.
Allora Luce si è avvicinata a me e mi ha guardato stupita:
“Mamma cosa stai facendo?” –
“Sto cercando di calmarmi perché mi stai innervosendo”.
E ho ricominciato a respirare. Lei “inspiegabilmente” è andata a lavarsi i denti. Poi si è messa il pigiama ed era pronta per andare a dormire.
Spegnere il fuoco per tempo può essere molto utile, per tutti. Certo non sempre sono così consapevole per farlo, molte volte la capanna va a fuoco. Ma con l’allenamento piano piano possiamo cambiare 😉
Eleonora Ievolella, Counselor in Psicosintesi
Stavo sfogliando le note sul mio telefono, dove mi appunto i post da scrivere quando mi viene qualche ispirazione, quando sono incappata in un titolo di diversi anni fa: “quando sei giù nessuno ti cerca”… un post mai scritto!
Chissà a cosa mi riferivo il 28 novembre del 2017, quando all’ottavo mese di gravidanza mi ero scritta quella nota. Sicuramente dovevo sentirmi abbastanza sola.
In realtà questa verità l’ho approfondita molto negli anni e ho capito che è proprio vero: “quando sei giù nessuno ti cerca, e neppure ti risponde al telefono!”
Una volta ci stavo male per questo, adesso ho imparato un po’ di più a cavarmela da sola. Quando non avevo i bambini soffrivo molto di solitudine, adesso per forza di cose molto meno (anche se si può soffrire di solitudine anche in famiglia), e ricordo che facevo delle passeggiate di ore in giro da sola e spesso chiamavo le mie amiche, o i miei amici, per avere un po’ di compagnia. Quando però ero particolarmente giù di morale e provavo a comporre diversi numeri di telefono, non mi rispondeva nessuno. Allora mi arrabbiavo, e mi dicevo: “Ma possibile che non risponda nessuno? Avrò provato 5 persone diverse e tutti hanno da fare??”.
Mi sentivo completamente abbandonata, perché vivevo una sofferenza e non c’era nessuno ad accoglierla. D’altronde la mia ferita antica è la ferita di abbandono, quindi non mi stupisce, oggi, che la vita me l’abbia riproposta in salse diverse, più e più volte, per cercare di farmela superare.
Ma se faccio un passo indietro, negli anni, se penso ai primi amori, alle relazioni complicate, ricordo che quando litigavo con il mio ragazzo e poi cercavo di mettere da parte l’orgoglio e di chiamarlo io, lui non mi rispondeva mai. E io ero sempre più in panico e più furiosa.
Ora, con il passare degli anni, mi rendo sempre più conto che le nostre vibrazioni determinano la realtà di quello che ci accade. Quindi, quando sei preso male, è probabile che nessuno ti risponderà al telefono, e invece immancabilmente, se sei riuscito a prenderti cura della tua emozione penosa da sola (cosa non sempre fattibile), facendo qualcosa che ti piace, o occupandoti di altro, ecco immancabilmente che 3-4 persone ti richiameranno tutte insieme.
È per questo che oggi non mi arrabbio più. Certe volte provo ancora a trovare conforto in una voce amica, ma non ho aspettative. Se qualche amica in quel momento è disponile ad ascoltare sono sorpresa e felice, ma se non c’è nessuno, so il perché: la mia energia sta allontanando “il mondo”. Non è che le tue amiche non ti vogliono bene, non è che il tuo fidanzato ti sta facendo le corna (oddio di questo non avremo mai certezza :/) , o che tua mamma non vuole rassicurarti, in questo momento l’Universo sta cercando di aiutarti a crescere, sta cercando di farti fare un piccolo passo avanti, affinché tu ti possa consolare anche da sola, ti possa imparare ad amare e a non dipendere sempre dagli altri.
Più io mi amo e mi accetto con le mie ferite più gli altri lo faranno.
“Che brutto”, mi dirai, “siamo veramente così soli al mondo?”
Un po’ sì e un po’ no. Io credo che le amicizie vere siano un dono prezioso. Ma nessun amico, nessun fidanzato, nessun figlio, ci potrà dare l’amore incondizionato che non abbiamo avuto quando ne avevamo bisogno. Dovremo farlo noi per primi, e farci aiutare dal Sè, dalla nostra anima, da Dio, dalla Madonna, da una nonna morta… da qualche entità invisibile e transpersonale…con fiducia che le nostre richieste e il nostro bisogno di affetto verrà accolto, prima di tutto in quel mondo lì, e poi, si spera, anche da qualcuno in carne e ossa qui.
Eleonora
Counselor in Psicosintesi
Nelle mie pratiche mattutine, quando compilo la lista dei desideri nel mio Diario di pratiche (io uso quello scritto da me, il Diario Sole e Luna) scrivo sempre: “essere guidata dal mio Sè”.
Se siamo guidati dal nostro Sè, o dalla nostra anima, come preferiamo chiamarla, agiremo allineati con i nostri valori più profondi e quindi indirizzeremmo la nostra vita verso la gioia, l’amore e verso la nostra missione.
Però non è facile riconoscere la voce del Sè, perché nella nostra testa ci sono tante voci che parlano, che ci criticano, che ci danni indicazioni, magari anche contrastanti. Sono le voci delle nostre subpersonalità che cercano di condurci dove vogliono loro. Magari ci fanno agire spinti dall’orgoglio, o inibiti dalle paure, ci fanno dire di sì agli altri anche quando vorremo dire di no.
Se ascoltiamo le voci delle nostre subpersonlità invece che ascoltare la nostra parte più Saggia è facile che saremo frustrati e insoddisfatti, magari depressi e un po’ alienati.
Allora come possiamo fare a riconoscere la voce del Sè? Un aiuto viene dalle pratiche corporee, dalla meditazione, dalla scrittura: dopo aver scritto tre pagine per “buttare fuori” ansie e pensieri possiamo provare a fare una domanda al nostro Sè e scrivere la risposta. Oppure fare una meditazione del Saggio (la trovi con voce guida sul mio canale YouTube), camminare soli nella Natura per mettere pace alla mente e lasciare che la voce saggia si faccia sentire.
A me spesso le giuste intuizioni, le indicazioni “corrette” arrivano al mattino quando nella mia mente fa capolino una voce che dice: “Oggi fate una gita al lago”, oppure “Iscrivi i bambini a un corso di sci”, oppure “Rimetti a posto la bici e ricomincia a usarla”, o anche “Compra la macchina del pane!”, “Vai a pranzo dai tuoi”, “ Registra un video”….
Ok, mi dirai, come fai a dire che sono voci del Sè?
Devo ammettere che non è facile spiegare, ma piano piano sto imparando a capirlo. Per esempio lo posso scoprire a posteriori, cioè quando seguo queste indicazioni e farlo mi porta a una profonda gioia e soddisfazione, magari si vive una giornata che risulta molto bella per tutta la famiglia, o noto che a riprendere la bici mi sento libera e felice, il pane fatto in casa è sano e piace a tutti, un video registrato in seguito a un’intuizione riceve buoni feedback e aiuta molte persone.
Ormai però ho imparato a riconoscere “quella voce” anche prima, nel momento in cui si presenta il suggerimento. In genere è una voce insistente e, quando una subpersonalità tende a darti contro con un giudizio o una frase sfiduciata, quella tace per un po’, ma poi si ripresenta di nuovo, fino a che non la ascolto veramente.
Ricordo nei mesi scorsi ero molto malata e non avevo la forza di alzarmi dal letto, ma quella voce mi spronava a farlo: “Esci, porta al parcogiochi i bambini! Dopo starai meglio!” E così, con una difficoltà inenarrabile, mi trascinavo fuori e immancabilmente la natura, le amiche, i bambini che giocano, mi davano un po’ di energia così, passo dopo passo, quella voce mi stava portando alla guarigione.
Altre volte mi capita che, seguendo la mia subpersonalità della crocerossina mi fermo ad ascoltare a lungo, dal vivo o per telefono, persone che si lamentano e stanno male. Per un po’ sicuramente è positivo perché aiuti gli altri a stare meglio, ma quando la mia energia vitale viene prosciugata, ecco allora non va più bene! Ed ecco che sento la mia voce saggia che dice: “Basta così, dalle uno stop, saluta e esci!”
La voce del Sè è una voce incoraggiante, non e giudicante, può essere molto ferma a volte, può essere direttiva, ma è amorevole e agisce sempre per il nostro bene.
Affidarci a lei è la cosa più saggia che possiamo fare. Ci può indicare un libro, ci può suggerire di chiamare una persona, di chiedere aiuto a qualcuno se siamo in serie difficoltà.
È una voce che ci aiuta a uscire dai pasticci e ci indica la giusta via per noi. Se in questo momento non senti la sua voce non demordere, ma allenati, scrivi, medita, chiedi al tuo Sè di farsi voce. Ognuno di noi può contattarla, serve solo un po’ di costanza e di fiducia.
Eleonora, Counselor in Psicosintesi.
Se sei interessato al diario di pratiche giornaliere clicca qui :
Nella vita capitano situazioni che ci fanno stare male. In realtà capitano quasi tutti i giorni.
Sono situazioni in cui abbiamo delle forti reazioni emotive di tristezza, angoscia, stress, rabbia, irritazione, paura.
Quando affrontiamo un problema o una situazione che ci fa stare male possiamo utilizzare la tecnica della ruota della bicicletta.
Questa tecnica ci aiuta in 3 modi:
La tecnica della gestione emotiva delle situazioni consiste nell’immaginare una ruota di una bicicletta dove al centro c’è la situazione che ci fa stare male e i raggi sono tutti i pensieri e le emozioni che questo problema provoca in noi e la ruota sono le soluzioni che ci fanno ripartire. Ho rivisto questa tecnica ampliando un approccio indicato nel libro “Come analizzare le persone” di Valerio Loffredo.
Prendere consapevolezza dell’intera ruota ci aiuta a vedere una ampia gamma di soluzioni al problema e soprattutto aumenta la nostra area di auto-coscienza: iniziamo a conoscerci meglio.
Possiamo fare questo lavoro da soli o con il supporto di un professionista nelle relazioni di aiuto.
Facciamo un esempio nel mondo lavorativo.
SITUAZIONE: consegniamo un lavoro ma il capo si lamenta perché la consegna è avvenuta in ritardo rispetto alle sue aspettative. Il lavoro era anche parecchio complesso, riteniamo di averlo fatto bene e questa reazione del capo provoca rabbia e frustrazione in oi.
Questa è la situazione che ci fa soffrire e che mettiamo al centro della ruota della bicicletta.
Ora vediamo i raggi.
I raggi sono tutti i pensieri, comportamenti ed emozioni che si nascondono sotto la rabbia/ sofferenza principale. Vediamo i raggi:
Ora puoi fare la crescita di consapevolezza.
Scomposto il malessere principale – rabbia del capo per mancato rispetto della scadenza – in tutti i micro-comportamenti che hanno portato a quell’evento e preso atto di tutte le emozioni che girano intorno al vissuto provato, possiamo cominciare a sciogliere uno per uno tutti i raggi. Questa operazione ci consentirà di costruire “la ruota”, unire i puntini e ritornare alla nostra integrità.
Ogni raggio chiede espressione e soluzione nel significato etimologico del termine: dal latino “solutio”, sciogliere, quindi scioglimento.
Una volta sciolti i nostri vissuti problematici recupereremo il nostro benessere e faremo diversi passi avanti anche di crescita personale.
Vediamo come fare nell’esempio:
Eccoci arrivati in fondo.
Ora hai un piano di azioni da compiere per risolvere la situazione difficile.
Non solo!
Le nuove consapevolezze che hai acquisto ti rendono anche una persona diversa da quella che eri prima, più centrata e responsabile.
I nuovi comportamenti che hai individuato ti permettono di fare un salto evolutivo e una crescita personale immediata. Non sei più lo stesso di prima, e ti sei trasformato in modo tale che non ti capiterà più di ricadere in una situazione analoga.
Certo, non avrai risolto tutti i problemi, ma già non ripetere la storia, gli errori passati è un ottimo passo in avanti nel nostro cammino verso un maggior benessere.
Grazie al lavoro che hai fatto hai utilizzato uno strumento cardine della psicosintesi che si chiama “disidentificazione”.
Disidentificazione dalle emozioni, dai pensieri e da tutto ciò che, se non ne siamo consapevoli, ci travolge e trascina con sé.
Hai sciolto non solo l’emozione difficile primaria, la situazione che ti provocava sofferenza, ma sei andato a toccare anche altre emozioni e pensieri più nascosti, che, se non riconosciuti, remano contro di noi.
Non è sempre facile fare tutto questo percorso da soli, per cui è bene provarci e, se non ci si riesce, ci si può far aiutare da un professionista nella relazione di aiuto.
Il valore di ogni difficoltà che incontriamo nella vita è immenso, se lo sappiamo gestire!
Alberto Ruffinengo