Ci sono dei giorni in cui le cose sembrano filare lisce, e dici: “massì dai in fondo la vita è bella”.
Ci sono degli altri in cui tutto va proprio storto, forse perché la vita ti sta mettendo alla prova e semplicemente devi salire un gradino più su.
Fatto sta che in quei giorni è veramente dura.
Come questo weekend ad esempio. Una giornata assurda sotto il sole a vedere case sul lago, Lorenzo che la sera ha 39 di febbre, poi 40, il pediatra che non risponde al telefono e tuo marito che più che a malincuore deve saltare la finale di water basket a Firenze che programmava da mesi…e tu ti senti anche in colpa, perché forse il piccolo si è preso un colpo di calore e dovevi stare più attenta… e quindi finisce che se sei in ansia tu e se è in ansia lui poi si litiga, ci si risponde male e le difficoltà della vita diventano il doppio più faticose e tutti si è tristi e depressi.
Ma poi a un certo punto, in motorino, mentre sfrecci nella Verona deserta a 40 gradi (per prendere i fermenti lattici nella farmacia di turno) capisci che un senso c’è, perché un senso c’è sempre.
Così ti senti grata, che nella sfiga siete in due, che se vi rendete conto che siete in due, e riuscite a volervi bene lo stesso, nonostante le difficoltà, allora le cose cambiano. Penso “in fondo siamo insieme, stiamo affrontando insieme questo delirio di avere un bimbo piccolo, Siamo Insieme”.
E poi penso alla canzone di Jovanotti: “…due scheletri abbracciati, qualche osso poco niente, ma il loro bacio va avanti per l’eternità”… quell’immagine mi ha sempre dato grande conforto.
Se si è in due a morire mi fa meno paura, ma anche se si è in due a vivere mi fa meno paura.
Quanto tempo buttato a litigare, a rinfacciarsi le cose, a colpevolizzarsi a vicenda, quando bastava “stringersi di più”.
Eleonora
Ieri ho preso in mano la bici: era da prima che restassi incinta che non la usavo, quindi circa un anno e mezzo… sono andata a yoga in bici.
Passando per Piazza Bra c’era un’odore di fritto misto a traffico, misto a primavera, che mi ha ricordato Londra.
Ho vissuto a Londra per un paio di mesi nel 2004, è stato un periodo strano, adoro Londra ma mi sentivo molto sola.
Sono anche una che ha sofferto molto di solitudine nella vita…ricordo quando ero adolescente e mia sorella più grande usciva il sabato sera con le amiche, e io che ero ancora piccola per avere amiche che uscivano con me, rimanevo sul divano a guardare la tv, programmi stupidi come la Corrida, i miei chissà dove.
Poi ricordo la mia vita milanese che alternava momenti di feste euforiche a momenti di grande solitudine.
Poi la mia vita di coppia in cui molte volte, quando Albi non c’era, mi sono sentita molto sola…anche quando ero incinta.
Ieri, invece, passando in mezzo a quegli odori, con un vento primaverile che soffiava forte, ho sentito la gioia della solitudine, la libertà di essere sola. Una solitudine fisica, che porta però nel cuore le persone care più vicine, come Lorenzo, Alberto, ma anche gli amici, i maestri e le maestre, i miei genitori, la natura e tutto il mondo.
Ricordo una frase di Manuela, una mia amica regista, che parlando dei figli e della gravidanza un giorno mi disse: “Quando hai un figlio non sei mai più sola!”.
Da una parte presentava ciò come una condanna, a me invece sembrava una gioia anche perché non avevo figli. Ora so cosa vuol dire anche la gioia di stare soli, ma è una condizione nuova: ora è solo fisica perché gli affetti sono con me comunque e mi riempiono il cuore.
La solitudine alla fine è una condizione esistenziale … puoi essere sola o non esserlo a seconda di quanto amore provi per le persone care, e per il Creato tutto. Sei meno sola quando ami, se tu per ami per prima non hai bisogno che siano gli altri ad amare te, o che ti facciano grandi dimostrazioni di affetto….è il tuo amore per gli altri che ti salva.
Qualcuno ci disse un giorno, a un seminario di Psicosintesi: “Come si fa a guarire dalla ferita primaria di amore? Se non siamo stati amati a sufficienza quando eravamo piccoli come facciamo a colmare quel vuoto? “.
La risposta è:
Ero molto affezionato a mio nonno materno.
Si chiamava Aldo, e quindi per me era il nonno Aldo.
Da bambino mi chiamava ‘Cianfrusaglia’ ed io a mia volta dicevo che lui era una ‘Cianfrusaglia’, così lo chiamavo anche ‘Cianfru’. Era molto umile, anche se nella vita aveva fatto parecchie esperienze: dopo essersi diplomato al Nautico, si era imbarcato a bordo di diverse navi ed aveva solcato il Mediterraneo per anni seguendo le orme del padre Comandante che era mancato quando lui era giovane. Mio nonno lavorava in sala macchine. A vent’anni, prima di uno dei suoi viaggi in nave, aveva conosciuto una donna, proprio sotto casa, di cui si era innamorato durante una passeggiata in Corso Italia a Genova.
L’ha sposata e l’ha amata per tutta la vita.
Sono andati insieme in Africa, in Nigeria, a lavorare per una compagnia inglese che acquistava pelli nel mercato locale ed è rimasto lì venti anni. In Nigeria sono nati mia mamma e mio zio. Aveva comprato una Fiat 500 per insegnare a guidare a mia nonna e le faceva da scuola guida.
Aveva la passione della fotografia: sviluppava e stampava le foto da solo. Una volta aveva partecipato ad un safari di caccia in Africa, ma quando si trovò a puntare il fucile ad una gazzella non ebbe il coraggio di sparare: quella in un attimo scomparve e lui depose il fucile e non andò più a caccia. Non aveva nemici e la carriera che aveva fatto sul lavoro era data dal suo impegno e dalle sue capacità che gli venivano riconosciute.
Tornato in Italia, in pensione, stava sempre in “laboratorio” che era una zona del garage dove teneva tutti gli attrezzi che utilizzava per riparare le cose. Era molto tranquillo, silenzioso, ma non era mai fermo. Riparava le radio, i nostri giocattoli, gli elettrodomestici, saldava anche il metallo per realizzare cose pratiche che gli servivano.
Dopo pranzo e dopo cena lavava sempre i piatti.
Prima di dormire, la sera, accendeva una radio trasmittente che aveva vicino al comodino, si sintonizzava sulle più disparate frequenze e armato di microfono e cuffie di quelle giganti parlava con gente in tutto il mondo, in Inglese, Francese e Italiano. Anche nella vita quotidiana mio nonno parlava con tutti ma non l’ho mai sentito litigare con nessuno.
Era curioso.
E mi voleva molto bene.
Forse tra i suoi nipoti ero il suo preferito, per una affinità di anime: lui cercava di non fare differenze ma io sentivo una forte comunanza con lui. Condividevamo anche la passione per gli orologi. Faceva le tipiche battute da nonno, giochi di parole, che mi facevano sorridere più che ridere, ma mi raccontavano tanto del suo modo di prendere la vita.
Una sera da bambino ero a casa dei nonni e volevo vedere uno dei miei telefilm preferiti, “Supercar”. Quella sera però mio nonno voleva già vedere un altro film e aveva cambiato canale. Io un po’ offeso, ma in silenzio, ero andato a giocare in veranda pensando che mi sarei perso la puntata. Ero molto triste anche se a pensarci oggi mi sento un po’ ridicolo. Lui se ne accorse, mi venne a chiamare e mi fece vedere il mio telefilm rinunciando al suo film.
Con gli anni i dolori alla schiena lo costrinsero ad utilizzare una sedia a rotelle, non poteva più scendere in garage nel suo “laboratorio”, così a ottant’anni si comprò un computer e decise di imparare a utilizzarlo. Si era fatto spiegare un po’ Word da me, Excel da mia mamma e la Posta Elettronica dal tecnico informatico che gli aveva installato tutto e che tornava a visitarlo ogni settimana a sistemare qualche cosa che non funzionava. Non contento si era preso uno scanner e con quello archiviava ed inviava documenti ai familiari e amici.
E’ morto di vecchiaia, in ospedale, soffrendo per i dolori alla schiena sempre più forti, e dimagrendo tanto.
Al funerale ho pianto tanto e se ci penso mi commuovo ancora.
Ieri a mezzanotte ero in sala che stavo accarezzando i gatti, sul divano, per farli addormentare, come ogni sera. Da quando è nato Lorenzo non dormono più con noi in camera e due carezze prima di lasciarli dormire in sala mi sembra il minimo sindacale per premiarli del sacrificio.
Guardavo fuori dalla finestra, le stelle, e le case che si affacciano sull’Adige e mi chiedevo cosa sarebbe rimasto di me una volta morto. Quelle case rimarranno anche quando io non ci sarò più e anche la sala e l’appartamento in cui vivo oggi ci saranno quando io non ci sarò più. Non sono un artista, non lascerò quadri, canzoni o film. Non sono un architetto, non lascerò piazze, vie o monumenti. Non sono un politico, un filosofo, né uno scrittore: non cambierò la società, non lascerò idee nuove nè romanzi. I miei amici e parenti se ne andranno con me e quindi di me non rimarrà più traccia.
Sono andato a dormire e ho sognato mio nonno nel letto di ospedale che mi guardava sorridente e tendeva le mani per prendere le mie.
Alberto
“I nonni sono coloro che vengono da lontano e vanno per primi ad indagare oltre la vita”
(Maria Rita Parsi)
Anche Eleonora ha scritto un Post in ricordo di sua nonna Gianna, se vuoi leggerlo clicca qui: L’amore non muore.
Lorenzo mi sta insegnando un sacco di cose, è una lezione unica di vita…una lezione faticosa, ma che ti ripaga in mille modi.
Per esempio con lui più che mai è diventato chiaro il concetto di Presenza, che non è solo una presenza fisica, ma è una presenza di mente, di spirito, di anima… essere presenti all’altro chiunque esso sia, significa essere in ascolto senza giudizio, senza pensiero, senza preconcetti.
Un neonato, o un bimbo piccolo ha bisogno che tu ci sia, che tu stia con lui senza guardare l’Ipad, senza giocare con l’iPhone senza leggere il giornale nè un libro, e anche senza che “ci sei e non ci sei”. Ciò significa che non solo non puoi fare altro, ma non devi nemmeno pensare ad altro. Avete presente quando state parlando al vostro partner, o a un’amica, e loro annuiscono in modo assente? Ecco non vi sentite ascoltati, l’altra persona con quel l’atteggiamento vi ferisce, anche se magari non lo fa apposta. Per un bimbo è altrettanto importante, anzi per lui lo è ancora di più. Se voi non siete presenti e non lo guardate con amore, con attenzione, ma siete “da un’altra parte”, allora lui sente di non esistere, di essere invisibile. E non c’è niente di peggio. Essere ignorati, è peggio di essere odiati. Lui si sente invisibile, si sente che “sparisce”. Allora comincia a urlare e urlare, fino a che voi tornate al momento presente, tornate a lui. Questa cosa va avanti sempre giorno dopo giorno ogni volta che mi assento sia fisicamente che con il pensiero: Lorenzo, 8 mesi, mi chiama alla Presenza.
Devo esserci nel qui e ora, e con lui.
Se “ci sono e non ci sono” tutto diventa più difficile: mangia poco, piange, fa i capricci, ci mette ore ad addormentarsi. Se ci sono sul serio, finisce che ci divertiamo, ci facciamo un sacco di risate, mangia tranquillo tutta la pappa, che fa la cacca senza problemi, e anche che crolla stanco dal sonno in poco tempo.
“Esserci completamente” ti chiede più sforzo iniziale, ma poi ti ripaga, sempre.
Ti insegna che prima di tutto devi esserci per te, perché fare bene le cose significa essere presenti a quello che si fa. Poi ti insegna che essere in ascolto dell’altro è l’unica relazione possibile, l’unica che può generare qualcosa di buono. Sempre.
Eleonora
Dicono che il corpo è il nostro tempio per questo va curato.
Ma noi ci prendiamo abbastanza cura del nostro tempio?
Quando ero incinta mi dovevo prendere per forza cura del corpo perché tutte le sensazioni erano amplificate e perché il mio corpo stava fabbricando un bambino. È stato un grande insegnamento…
Ho capito che per stare bene bisogna prendersi cura del nostro corpo regolarmente, se il corpo non è in forma non può esserlo nemmeno la nostra mente. Spesso ci lamentiamo perché siamo tristi, depressi, ansiosi…ma per prima cosa dovremmo capire come sta il nostro corpo, se lo stiamo trattando con amore, se ce ne stiamo prendendo cura.
Ricordo un’amica la cui maestra di yoga aveva detto: “per tenere a freno una mente come la tua devi avere un corpo in forma, molto allenato“. Mi aveva colpito questo discorso, in effetti i maestri zen per esempio hanno la schiena bella dritta e riescono a stare nella posizione del loto a lungo.
Ecco 7 regole per stare meglio:
Io cerco di fare tutto ciò e se salto qualche passaggio inizio a sentirmi stanca o mi viene mal di gola. Seguire queste regole mi aiuta molto a rimanere in equilibrio e a stare bene.
Eleonora
Una riflessione che mi interessa condividere con voi, è quella della richiesta di aiuto.
Abbiamo lavorato su questa questione in una delle ultime lezioni di Counseling Psicosintetico.
Tu chiedi aiuto?
Quanti di noi sono veramente capaci di chiedere aiuto?
Nella nostra società si è un po’ abituati a fare tutto da soli, sono premiate le persone “forti”, quelli che “non devono chiedere mai”.
Spesso non si chiede aiuto per orgoglio.
In tutte le religioni c’è la pratica di chiedere l’elemosina, la cena ai membri del villaggio o le offerte per il tempio.
Non è un caso che ci sia questa pratica, perché non è facile chiedere.
Per chiedere bisogna essere umili.
Bisogna ammettere di non essere forti, di avere delle debolezze.
Io sto imparando a chiedere aiuto, soprattuto grazie a mio figlio. Crescere un bambino non è cosa da poco. Ci vuole moltissima energia, devi essere sempre presente, giorno e notte. È molto faticoso anche fisicamente.
C’è un detto africano che dice: “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”.
È vero. Noi moderni occidentali siamo molto soli. Le famiglie sono sole, le donne sono sole e hanno un carico da novanta, i papà sono soli, anche i nonni spesso vengono sovraccaricati.
Questo detto mi è piaciuto molto perché mi ha alleggerito dall’idea che avrei dovuto fare tutto da sola.
Io ammiro molto la cultura africana, in particolare ho trascorso alcuni giorni in un villaggio spirituale Sufi in Senegal. Un giorno dissi ad Aissa, la moglie (francese) del capo spirituale (senegalese) del villaggio di N’dem: “Non so come hai fatto a fare 6 figli, io sono distrutta con uno!”
Lei mi rispose: “In Africa si può, non ero mica in Italia!”.
È vero che lì i bambini sono un po’ di tutti, c’è sempre qualcuno che da un occhio: possono essere i fratelli grandi, gli zii, le donne e gli uomini del villaggio. E se lui piange qualcuno accorre a prenderlo in braccio e a consolarlo…tutti quelli più grandi di lui ne sono responsabili.
Questo non vuol dire che dobbiamo trasferirci per forza in Africa, ma penso sia importante che la neo mamma riconosca alcune cose:
1) Non è naturale essere sola a crescere un bambino, è una pratica diffusa nella nostra cultura, ma non è così nella maggior parte delle culture tradizionali e non era così nemmeno da noi in passato. Quindi se sei stanca ci sta.
2) Cerca di creare una rete di aiuti a seconda dei mezzi che hai: nonni, babysitter, amici, amiche, ludoteche comunali, Parcogiochi. È importante che non rimani a lungo sola con bimbi piccoli.
3) Non puoi fare tutto da sola: cucinare, fare le pulizie, stirare, stare dietro al piccolo, fare la spesa.
4) Fai come me: chiedi aiuto! Investi 20 euro a settimana in una donna delle pulizie, fai la spesa online, chiama tua mamma, tua sorella, o un paio di amiche che ti diano 2 ore libere al giorno (ma non per stirare!)
Grazie a Lorenzo, che oggi fa 8 mesi, ho già imparato molte cose, e chiedere aiuto è una di queste. Quando sei distrutta e devi andare avanti lasci andare l’orgoglio, e poi ti accorgi che così facendo sei cresciuta, non hai espresso debolezza ma forza, e succedono anche piccoli miracoli!