L’altra notte stavo malissimo: dopo giorni di fastidi allo stomaco e bruciori il mio medico mi aveva detto che probabilmente mi dovevo operare di calcoli alla cistifellea. Così, nella mia notte insonne, lo stress aumentava il male e la mia parte ipocondriaca pensava di avere già in atto una pancreatite. A un certo punto verso le 5 del mattino consulto la App del pronto soccorso ( una trovata geniale) e vedo che non ci sono pazienti in coda, mi dico perché aspettare le 8 tanto non dormo, vado adesso mi faccio fare le analisi e mal che vada mi terranno dentro, l’importante che mi curino in qualche modo. Sveglio Alberto e gli dico che prendo un taxi e vado. Ovviamente da quando ci sono i bambini non puoi più essere tu la priorità e quindi già sapevo che non mi avrebbe potuto portare lui, in più, mi sono detta, con la nuove norme Covid non lo avrebbero nemmeno fatto entrare. Così pallida come un fantasma mi sono messa un paio di adidas, una giacca sopra alla tuta e sono andata.
Con il codice bianco che mi hanno dato, anche se non c’era nessuno, ho aspettato un’ora e mezza durante la quale mi sono “messaggiata” con un paio di genitori medici, che conosco grazie all’asilo di mio figlio, e anche se non potevano fare molto mi hanno dato un adorabile conforto (Grazie!).
Dopo un’ora, sempre più debole e malandata (riesco a mangiare poco niente da una settimana) mi alzo per chiedere informazioni alla signorina della reception per capire se c’era speranza di entrare, lei, con disprezzo, mi ha detto che rispondere a questa domanda era come tirare i numeri al Lotto perché se arrivavano delle urgenze ovviamente sarebbero passate davanti. Mi allontano sconsolata, indecisa se recarmi a un altro Pronto Soccorso della provincia, quando a un certo punto i miei occhi grandi verdi e lucidi da cane abbandonato, incrociano quelli del guardiano in divisa che sotto alla mascherina fa un sorriso, e mi dice: “ Ho sentito, che ha chiesto quanto ci vorrà….” io gli rispondo (come se fosse un papà, o uno zio buono): “Mi hanno dato il codice bianco, ma io sto malissimo.” Lui mi ha guardato con tenerezza infinita e mi ha tranquillizzato: “ Vedrai che tra poco ti fanno entrare!” Lo ringrazio e mi siedo. Esce una signora sull’ottantina, le chiedo se ha finito o se deve ancora entrare, mi dice che ha finito, era stata lì anche la notte per delle coliche addominali, mi dice che il suo medico è stato molto bravo e attento. Chiacchieriamo un po’, anche lei è simpatica, ha un’aria così serena… amo le nonne. Poi finalmente mi fanno entrare. Esami, vista, mi fanno una medicina in vena e, dopo sei ore scopro che il mio problema è una brutta gastrite, che il mio medico di base aveva in parte cannato la diagnosi, che soprattutto non dovevo operarmi! Devo però bombarmi di medicine, e, in questo caso, non posso solo fare dieta e naturopatia, altrimenti non mi passa. Durante le sei ore di attesa ho chiacchierato con un muratore calabrese che aveva male al petto. Mi ha chiesto se ero sposata, gli ho risposto di sí… lui mi ha detto, un pò deluso, che pensava di no, perché non avevo la fede. Gli ho raccontato che la notte tolgo gli anelli e alle cinque del mattino non ho pensato a rimetterli prima di recarmi al pronto soccorso. Poi, un’altra infermiera bionda che avrà avuto circa vent’anni mi ha sorriso con il cuore e si è preoccupata del fatto che avevo l’aghetto della flebo nel braccio da sei ore. Poco dopo sono tornata a casa distrutta, ma felice di non avere nulla di grave, e di avere delle medicine per curarmi (in certi casi bisogna proprio ringraziare la medicina allopatica e pure le case farmaceutiche!).
Questa esperienza mi è rimasta nel cuore, soprattutto lo sguardo di quel guardiano con la divisa, di cui non so il nome: il nostro è stato un incontro di anime. Un’anima senza filtri (la mia) chiede aiuto e un’anima in quel momento più forte (la sua) risponde.
Questi incontri sono quelli che danno il senso alla vita.
E ho pensato a quel video che ho fatto qualche anno fa sulla canzone di Lorenza Berni “Occhi senza tempo” e alle parole di Alberto Alberti, psichiatra e allievo di Roberto Assagioli:
“Ascoltando la stupenda canzone di Lorenza Berni “Occhi senza tempo” appare chiaro che le uniche cose che contano sono gli incontri commossi tra gli esseri umani, in cui le anime si manifestano, si vedono e si riconoscono; e i cuori si parlano mediante l’antico e universale linguaggio del sentimento.
L’ansia di ricerca dell’uomo, il suo errare, i suoi interrogativi trovano il loro approdo in questo conversare delle anime, che si ha l’impressione avvenga sotto lo sguardo di un soggetto cosmico, ravvisabile in un sentimento di dolcezza e bontà infinita, una “grande madre”, una humilitas, che accoglie, preserva e custodisce in sé la fragilità della condizione umana”.
(Amore e libertà, il Sè tra noi – Alberto Alberti)
Se vuoi vedere il video eccolo qui:
L’altro giorno stavo facendo una consulenza con una mia cliente: le stavo facendo notare come lei ha un cuore grande, per tutta una serie di circostanze che mi stava raccontando. Lei è rimasta stupita, e mi ha detto: “Davvero lo pensi? Io penso di essere cattiva!” .
Questa frase mi è rimasta impressa per parecchi giorni, e ho pensato, che anch’io, del resto, spesso mi sento “cattiva”. Sono cattiva quando sgrido i miei bambini, quando litigo con mio marito, se non telefono abbastanza spesso o faccio vista ai miei genitori, se penso soprattutto a me e ai miei problemi, se non mi occupo delle mie amiche o di mia sorella, ecc ecc.
A pensarci bene quasi tutti noi, da bambini, abbiamo subìto dei ricatti più o meno inconsci: o facevamo i bravi, o rispondevamo ai bisogni dei nostri genitori, o imparavamo a mette da parte i nostri di bisogni…o, o…, o… oppure eravamo “cattivi”.
Cattivo è proprio un termine che usa un bambino.
In realtà, se andiamo a guardare bene in profondità, il ricatto significava abdicare alla nostra vera natura di bambini per diventare dei piccoli ometti, o donnine, responsabili (prima del tempo) altrimenti saremmo stati definiti “cattivi”.
Per quanto ci siamo adeguati ai desideri dei nostri genitori, perdendo magari le parti di noi più autentiche, più giustamente bisognose e più vere, dentro di noi abbiamo interiorizzato comunque quel pensiero che eravamo comunque cattivi, e cioè inadeguati, insomma non eravamo perfetti come “avremmo dovuto”.
Quasi tutti noi viviamo con un costante senso di inadeguatezza, magari questo senso è rimosso e non lo volgiamo ammettere, allora facciamo ancora più sforzi per sentirci perfetti, più responsabili, più buoni, più magri, più belli, con meno rughe, con labbra più carnose e tette più grosse. Ma il senso di inadeguatezza rimane, nonostante facciamo di tutto per raggiungere la famigerata “perfezione”.
Il fatto è che un bambino non è perfetto, o forse è perfetto nella sua imperfezione, con i suoi pianti, i suoi capricci, con le litigate con il fratello, con la sua poca voglia di fare i compiti (per non parlare delle lezioni virtuali!).
Ma potremmo dire lo stesso per noi: non siamo mamme o mogli perfette, o padri e mariti perfetti perché, per quanto ce la mettiamo tutta a fare del nostro meglio, combiniamo un sacco di pasticci.
E allora come fare? Penso che il primo passo sia amare la nostra imperfezione, la nostra “cattiveria”, la nostra pancia non piatta, i nostri capelli bianchi, la nostra poca pazienza, le nostre paure.
Gli esseri umani non sono perfetti, è la nostra condizione che lo vogliamo o no.
Oppure siamo “perfetti nella nostra imperfezione” come lo sono i nostri figli, perché se loro non hanno colpe per le loro imperfezioni, non le abbiamo nemmeno noi, perché anche noi, a nostra volta, siamo stati trattati male e siamo stati bambini feriti.
Solo amando le nostre imperfezioni possiamo migliorare, se ci continuiamo a dare addosso saremo sempre più insoddisfatti di noi e di conseguenza più “cattivi”.
Qualcuno magari vorrebbe sapere come fare ad amare le nostre imperfezioni… Io penso che una parte profonda di noi ci ama proprio in modo incondizionato così come siamo, si può provare a contattarla con una meditazione o con delle preghiere, una parte profonda e divina che vive in noi (ecco lei è perfetta e ci ama) se interpellata, ci può aiutare a fare le scelte nella direzione dell’amore, ci può consolare quando siamo tristi e disperati. Per trovarla ci vuole un po’ di quiete, uno stato di rilassamento, un respiro addominale… poi possiamo proave a parlare con Lei.
L’altro giorno, in piena quarantena, chiamo la mia amica Manuela di Milano per un saluto. Mentre si ride e si scherza (con lei si trova l’humor anche nelle situazioni più nere!), mi confessa di stare spesso attaccata a una webcam in Africa dove si possono “spiare” gli animali che vanno ad abbeverarsi ad una pozza.
Immediatamente mi viene in mente il mio viaggio di nozze in Namibia e il Safari che abbiamo fatto al parco Etosha. Ricordo le zebre e gli impala, le iene, le giraffe, i rinoceronti, gli steembook, il mio mal di gola, e Alberto con la macchina fotografica alla ricerca della foto più sensazionale. Ai tempi non mi ero così entusiasmata a quel Safari, l’avevo trovato anche un po’ noioso. Oggi invece, dopo 9 anni, mi ritrovo in quarantena, subissata da un carico da novanta di cose da fare (pulizie, cucina, didattica a distanza, consulenze, intrattenimento bambini, cambio pannolino, addormentamento, liti da spianare, aperitivi su zoom, cene/pizze virtuali…), a ricercare piccoli attimi di quiete attaccata a quella webcam.
Siamo in Kenia, al Tsavo East National Park e quella webcam ha solo due inquadrature disponibili: un totale della pozza con un grandangolo che schiaccia un po’ l’immagine, poi, quando un animale si avvicina, la camera, grazie ad un sensore, percepisce il movimento e zoomma più o meno a caso, cercando di inquadrarlo meglio… a volte ci riesce, a volte no.
In questi giorni ho spiato più volte una famiglia di elefanti: quando arrivano tutti sono più di dieci, compresi due cuccioli meravigliosi che avranno meno di due di mesi. A ritmi cadenzati camminano lenti, bevono l’acqua, mangiano ciuffi d’erba, talvolta fanno il bagno. Insieme a loro entrano nella mia camera da letto tutti i suoni della Savana: grilli, mosche, stridii di uccelli.
Un tempo lento, quasi infinito, un tempo meditativo, è quello che si può sentire là. È come lo stato di quiete pura che puoi percepire se ti fermi ad ascoltare il tuo respiro profondo: è il respiro del mondo, delle galassie, dell’Universo.
In questo tempo africano ritorno alle origini del cosmo e vedo i tramonti sul cielo piatto, e quasi non so come… sento l’odore dell’Africa!
Questi animali sacri, dall’altra parte del mondo, ignari di essere spiati, ignari del Coronavirus e del “lockdown”, ignari della paura degli uomini, della loro sete di potere, del dramma della nostra povera specie umana per la prima volta chiusa in gabbia, della nostra difficoltà di respirare per l’inquinamento e per il virus… ecco, loro proseguono la loro vita, con ritmi lenti sempre uguali, nella beatitudine e nella grazia, uno spettacolo che solo la Natura ci può regalare.
Quella pozza in Africa diventa per me il cuore pulsante del mondo, un modo per tornare al Centro, dove c’è solo pace, amore infinito, e gioia.
“Ele guarda adesso, stanno facendo il bagno!” mi arriva un whatsapp di Manuela.
“Ora in Kenia ci sono gli elefanti!” messaggio di Fede nella chat di famiglia.
“Oggi alle 6 branco di elefanti, cervi, impala, tantissimi uccelli…meraviglioso!” scrive Marco, che si è svegliato apposta per collegarsi alla webcam.
“Quella webcam è la mia salvezza, cerco pace, mi collego e guardo, aspetto e sogno l’Africa”, mi scrive Anna.
Gli amici più sensibili si sono attaccati, come Manuela e me, a quella webcam. Senza che nessuno si spieghi il perché condividiamo un piccolo segreto, forse l’intima consapevolezza che anche noi, in fondo, facciamo parte di quel mondo che tanto ci manca.
“La felicità è vera solo quando è condivisa”
(Christopher McCandless)
per vedere anche tu la Savana clicca QUI
Quando Anita Moorjani ritornò nel suo corpo, dopo aver avuto un’esperienza di premorte, sapeva che sarebbe guarita dal cancro che l’aveva devastata portandola alla morte. Sapeva che l’esperienza transpersonale che aveva vissuto l’aveva illuminata a tal punto da farla guarire. E così fu: il cancro scomparve e nel giro di un paio di mesi si rimise completamente. Era il 2007, oggi Anita, dopo aver scritto due bellissimi libri, tiene conferenze in tutto il mondo, e aiuta moltissima gente a stare meglio con i suoi messaggi. Ciò che ha innalzato in lei così tanto il livello spirituale e energetico è avere acquisito la consapevolezza di essere Amore, del fatto che l’Universo (o Dio) ci ama e che tutto nella sua vita aveva avuto un senso, anche la malattia. Anita ha inoltre dissolto ogni paura della morte perché, avendola vissuta in prima persona, ha sperimentato uno stato di pace e Amore infinito. La sua esperienza sta a dimostrare che a un certo livello di vibrazioni energetiche e spirituali la malattia scompare. In molti suoi video Anita afferma che il preludio alla malattia è un’energia bassa, una vita stressata, una vita permeata dalla paura e priva di amore, soprattutto per se stessi.
Anche David Hawkins analizzò le vibrazioni energetiche/spirituali degli uomini e creò una tabella matematica dove elencò i livelli in cui si trovano le persone oggi sulla terra, dal gradino più basso al più alto. Al principio della scala c’è il livello energetico 20 che corrisponde alla vergogna (livello vicino alla morte) poi si passa a livelli intermedi fino ad arrivare al gradino il più alto di vibrazione energetica 700-1000, che è il livello dell’illuminazione. La maggior parte della popolazione sta tra il livello 100, che è la paura, e il livello 125 che corrispondente al desiderio. Pensate che il livello 500 che corrisponde all’Amore incondizionato ed è occupato solo dal 4% della popolazione mondiale. Io penso di aver conosciuto una persona che è al livello Amore: un capo spirituale Sufi che vive in Senegal. Quando siedi vicino a una persona che ha quel livello di energia spirituale ti senti benissimo, vieni pervaso, quasi per osmosi, da un senso di pace e di amore profondo. Chiaramente, quando ti allontani e ritorni alla tua vita comune, torni al tuo livello energetico di sempre. Il livello 600 corrisponde alla Pace, penso che il maestro zen Thich Nhath Han sia a questo livello, probabilmente anche il Dalai Lama. L’ultimo livello, cioè l’illuminazione era quello che avevano Gesù, Buddha, e Krishna.
In base alle nostre “onde vibrazioniali” possiamo essere felici, in pace e in salute, o possiamo essere inclini alla tristezza e alla malattia.
Certo, ognuno di noi nasce con un livello di un certo tipo e le sue esperienze infantili fanno sì che l’energia alta che hanno i bambini diminuisca o rimanga inalterata (o più raramente cresca).
Se le nostre ferite sono molto profonde è probabile che ci vogliano anni di psicoterapia e di pratica spirituale per far salire il nostro livello di consapevolezza e di energia.
In questo periodo di quarantena la cosa migliore che possiamo fare è alzare le nostre vibrazioni per godere di una maggiore salute e per avere più forza fisica, ma anche psichica, per affrontare la vita di tutti i giorni. Il mondo dei media che ci avvolge di paura abbassa tremendamente le nostre vibrazioni per cui la cosa più sbagliata che possiamo fare è stare attaccati alle news tutto il giorno.
Vediamo invece alcuni rimedi per alzare le nostre vibrazioni:
– fare arte (dipingere, suonare, ballare, cucire, cucinare…)
– prendere il sole – fare attività fisica (se non si può usciere si può fare mezz’ora di yoga al giorno)
– mangiare sano (frutta, verdura, cereali integrali, semi, frutta secca)- bere molta acqua
– ascoltare musica – guardare bei film- leggere dei bei libri
– abbellire e sistemare casa- fare un bel bagno rilassante
– buttare via cose vecchie e pulire la casa e i balconi
– sentire amici e parenti che amiamo
– inventare qualche cosa che possa aiutare gli altri mettendo al servizio delle altre persone le nostre capacità
– avviare un progetto creativo (scrivere un libro, preparare un corso, fare un video ecc)
– pregare e/o meditare- dormire bene
Ciò che invece abbassa le vibrazioni è:
– mangiare cibo spazzatura e troppi dolci
– stare attaccati alle news e ai social
– immaginare scenari catastrofici- lamentarsi
– criticarsi
– vivere nell’attesa che questo momento passi- stare tutto il giorno a letto
– guardare film angoscianti
Ritornando ai punti che innalzano le nostre vibrazioni ricordiamo che l’energia Universale è un’energia di Amore per cui se riusciamo a sintonizzarci con l’Amore riusciremo ad alzare la nostra vibrazione.
Una meditazione semplice è quella di sdraiarsi sul pavimento o sul letto e mandare Amore ad ogni parte del nostro corpo, iniziando dalla punta dei piedi, fino al arrivare alla cima della testa, ripetendo le parole “amore, amore, amore”.
È importante, quando ci rendiamo conto di avere vibrazioni basse, di alzarle prendendoci prima di tutto cura di noi.
L’amore che dai ti torna indietro per cui quando fai un atto di amore per gli altri hai già innalzato un po’ la tua energia è inizierai già a stare meglio.
Stiamo vivendo un periodo particolare, questo tutti (gli italiani quantomeno) lo sanno.
Ci siamo ritrovati nell’arco di pochi giorni, neanche un mese, in una realtà che ha cambiato tutti i connotati.
Nella mia vita non mi è mai capitato di osservare quello che sta accadendo alla società di oggi: limitazioni negli spostamenti, chiusura delle attività (commerciali, ludiche, culturali, di ristoro), lavoro da casa, blocco delle relazioni, reparti di ospedali saturi ed una paura diffusa nell’aria più penetrante del virus che ha causato tutto questo.
Tante cose si sono lette sui giornali, tante cose sono state dette nei video e nei servizi trasmessi sui vari canali internet, televisioni e social (whatsapp, facebook, …).
Io in questo periodo sto sentendo in particolare una corrente sottile, quella della fragilità.
Questo virus ha messo l’uomo di fronte alla sua fragilità, ed ho potuto osservare come ognuno reagisce di fronte a questa.
Ho visto persone molto sensibili che si sono immediatamente spaventate: costoro, fin dalle prime notizie che arrivavano dalla Cina, si sono armate di disinfettanti per le mani e hanno iniziato, prima di tutti gli altri, ad evitare qualsiasi contatto fisico.
Ho visto persone spavalde, che negavano ogni tipo di pericolosità del virus, sostenendo da una parte che non era poi così pericoloso e dall’altra che se anche fossero state contagiate non avrebbero subito alcun danno.
E poi la maggior parte delle persone, che si spostava un po’ tra i due comportamenti polari sopra indicati senza mai toccare gli estremi, spesso influenzate dalle notizie che via via si diffondevano, ahimè, in maniera pure contradditoria.
Di fondo però sentivo dietro a tutti un odore strano, quello della paura, paura di una minaccia silenziosa, invisibile, difficilmente fronteggiabile e “difficilmente decifrabile” nei suoi reali effetti.
Io sono partito da una posizione simile a quella della tipologia dello “spavaldo” e sono arrivato oggi a uscire di casa con il disinfettante per le mani e tenendomi a più di qualche metro di distanza da ogni altro essere umano. Mi sono sorpreso nel riconoscere in me una paura inattesa quando una bambina che giocava con un drone al parco si è avvicinata a me per raccoglierlo: ho quasi fatto fatica a salutare lei e la sua mamma.
Ed io di salute sto bene.
E non dovrei essere nelle fasce più a rischio di questo virus che sembra essere maggiormente pericoloso se entra in contatto con persone anziane o che hanno altre patologie.
Però ci sono persone molto vicine a me che rientrano nelle due categorie a rischio.
Mettendomi nei panni di queste persone mi rendo conto di come la situazione di oggi non sia per niente uno scherzo.
L’uomo è fragile, noi siamo fragili.
Penso che in questo periodo sia richiesta una grande sensibilità da parte di ciascuno di noi, una sensibilità verso noi stessi e verso chi già vive delle sofferenze che vengono acuite da questa situazione.
Mi sono chiesto: che cosa posso fare io?
Forse posso entrare in contatto con la mia empatia (qualsiasi sia il suo grado di sviluppo…) e pensare un po’ meno a me stesso, alle cose a cui devo rinunciare, e a cercare di lamentarmi consciamente o inconsciamente un po’ meno per provare ad essere più vicino agli altri, anche “virtualmente”.
Essere vicino agli altri con la parte più luminosa di me, non con compatimento o commiserazione.
Penso che ognuno di noi abbia delle qualità con cui può entrare in contatto e che può mettere a disposizione degli altri: c’è chi è spiritoso, chi è comprensivo, chi è sensibile, chi è creativo, chi gioioso, chi amorevole, chi saggio, chi pratico, chi positivo, chi divertente, chi preparato e interessante da ascoltare, chi amichevole …
Toccare le nostre risorse accende la nostra anima e quella degli altri.
In questo periodo mi torna alla memoria la bella frase di uno dei miei maestri:
“Se ti prendi cura di te, ti prendi cura di tutto”.
Allora prenderci cura di noi nel senso di cercare di proteggerci dal virus fa sì che non lo trasmetteremo ad altri, e se ci prendiamo cura del nostro “buonumore” farà si che lo potremo, in qualche modo, trasmettere agli altri.
Poi c’è un’altra fascia di persone che penso abbiano bisogno di una attenzione particolare: i bambini.
Anche loro sono super-immersi in questa situazione, hanno chiuso gli asili, le scuole, e si trovano a casa con i nonni o i genitori per un tempo ‘diverso’ da quello cui erano abituati. Hanno dovuto cambiare le abitudini anche loro.
In più, volenti o nolenti, tutti a casa parliamo un po’ di questo virus, dei danni che fa, dei ricoveri, delle persone che sono state colpite e non ce l’hanno fatta, delle precauzioni da prendere, …
Tutto questo viene completamente assorbito dai bambini, sia che lo esternino sia che non lo facciano. Mi ricordo ancora quando nell’86 c’è stato il disastro di Chernobyl, avevo 11 anni, e mia nonna paterna aveva detto una volta che dovevamo avvolgerci intorno un asciugamano bagnato quando sarebbe passata la nube sopra l’Italia…
Poi io non mi sono avvolto nell’asciugamano ed eccomi qui come sono oggi…😉
Penso che con i bambini la strada maestra sia sempre la stessa: bisogna essere sinceri ma parlare il loro linguaggio. Poi è importante fare attenzione al nostro stato d’animo, perché il nostro stato d’animo è quello che sentono maggiormente i bambini.
Mi hanno girato un video molto simpatico con un bambino che spiega in modo giocoso come ci si deve comportare con il virus. Lo invio nelle chat dei miei amici e invito i genitori che conosco, se lo ritengono, a vederlo insieme ai loro figli. Penso che per un piccolo vedere un video, un film, un cartone con i genitori sia un momento bello e di aiuto per non caricarsi troppo di una situazione già di per sé pesante.
Di seguito allego il link: https://www.youtube.com/watch?v=ttfyyQGdZFg
Penso che alla fine questo virus, in qualche modo, toccando la nostra fragilità possa darci la possibilità di entrare un po’ più in contatto con il nostro cuore, e con quello degli altri.
“Non
è tanto il viaggio che è importante; è il modo in cui trattiamo coloro che
incontriamo e coloro che ci circondano, lungo la strada.”
Jeremy Aldana
È difficile scrivere in questo momento di profonda tristezza e di disorientamento. In un paio di settimane si è passati dalla chiusura delle scuole alla quarantena forzata. Tanta confusione nelle comunicazioni non ha aiutato nessuno a capire ciò che stava succedendo e, soprattutto, a comprendere che la situazione era veramente grave… così, contagio dopo contagio, il Coronavirus si è diffuso in tutto il paese.
La nostra generazione, e anche quella dei nostri genitori (se hai tra i 30 e i 50 anni) non ha conosciuto direttamente la guerra e, forse i drammi più grandi che ricordiamo, sono stati i disastri nucleari di Cernobyl nell’86 e Fukushima nel 2011, e nel nostro paese i terribili terremoti dell’Aquila nel 2009 e dell’Emilia nel 2012. Ma un virus che mettesse in ginocchio prima la Cina, poi l’Italia, l’Europa e quasi il mondo intero è una calamità simile a una guerra mondiale che non abbiamo mai vissuto.
Sono girate sul web delle riflessioni sul fatto che tutto ciò è capitato perché “ci dovevamo fermare”, che forse la razza umana, così poco evoluta a livello spirituale, “dovrebbe estinguersi”, che c’è “troppo inquinamento e troppa fretta”, che “si pensa solo ai soldi”, che “le relazioni ormai si sono perse”. Sono riflessioni interessanti e soprattutto condivido il fatto che sia noi come “individui”, che noi come “collettività”, abbiamo da imparare qualcosa dal dramma che stiamo vivendo, e quando (e se) ne usciremo non saremo più gli stessi.
Ora, però, per affrontare una quotidianità così diversa, dobbiamo escogitare qualcosa per stare bene.
Come sempre sta a noi scegliere se finire nel buco nero della depressione o reagire cercando l’insegnamento e l’opportunità di crescita.
Se sei in salute e sei “semplicemente recluso in casa”, come la maggior parte (per fortuna) degli italiani puoi ringraziare l’Universo per il solo fatto di stare bene.
Vediamo alcune cose che possiamo fare:
– Se hai la fortuna di fare “smart working” puoi imparare questa nuova modalità, immaginandola come un training poichè sempre più sarà il lavoro del futuro. Puoi apprezzare inoltre il fatto di poter lavorare in un ambiente protetto.
– Se non stai lavorando puoi scrivere una lista delle cose che avresti sempre voluto fare “quando avresti avuto tempo”, ma che non hai fatto: per esempio pulire bene la casa, buttare via le cose vecchie che non servono più, leggere quel libro o vedere quel film, preparare un corso, imparare una lingua, cucinare, cucire, dipingere, suonare.
La creatività in particolare nasce nei momenti di vuoto, la creatività ci avvicina al Divino ci rigenera nel profondo, ci fa stare bene.
Io personalmente ho deciso di fare al mattino i cinque tibetani e la sera una mezz’ora di yoga, cerco di cucinare cibi sani e prendo integratori che mi danno forza fisica e mentale, per il resto mi occupo della casa e della mia famiglia, e cerco di impegnarmi a farlo nel migliore dei modi (purtroppo non sempre mi riesce 😩).
-Si può uscire a correre o per una passeggiata (certo rispettando le norme di sicurezza). Penso che sia molto importante uscire un po’ tutti i giorni: scendere mezz’ora per buttare via l’immondizia, fare la spesa o semplicemente per fare una corsetta può essere un toccasana.
– Possiamo tenere un diario: scrivendo tre pagine al giorno butteremo fuori preoccupazioni e pensieri.
-Possiamo pregare o fare meditazione: accendiamo una candela, ascoltiamo il respiro e concentrarci sul nostro centro interiore, la parte più vera di noi. Lì tutto è pace. Etty Hillesum, morta in un campo di concentramento, è riuscita a trovare la sua parte più profonda, nonostante la sofferenza. Il contatto con questa parte divina le ha dato una pace infinita capace di farle affrontare il periodo della guerra con una serenità per noi sconcertante.
-Sarebbe meglio non continuare a leggere gli aggiornamenti dei giornali sul numero di contagi e di morti. La paura ci penetra nelle ossa e ci paralizza. Se non riusciamo a smettere di farlo, cerchiamo almeno di darci un tempo breve, che non invada tutta la nostra giornata, e poi mettiamoci a fare qualcosa di amorevole per noi e per gli altri.
– Chiamiamo e videochiamiamo gli amici, i parenti, i vecchi maestri, chiunque ci venga in mente per un saluto, facciamolo tutti i giorni. È vero che la tecnologia ci ha allontanato, ma questo virus ci ricorda quanto sia difficile non avere contatti con i nostri simili. Ora possiamo sfruttare la tecnologia per fare l’opposto: per riavvicinarci, per dirci “ti voglio bene, mi manchi, come stai….” con un messaggio, un vocale o una videochiamata.
E, ancora una volta, se ci prende lo sconforto e la tristezza ricordiamoci che siamo sul divano a leggere e non in rianimazione. Mandiamo con il pensiero amore e gratitudine per chi sta male e per chi lavora incessantemente per salvare vite umane, e non sprechiamo la vita che ancora abbiamo nel peggiore dei modi.
-Se siamo particolarmente desiderosi di evolverci possiamo chiederci cosa possiamo imparare da questa esperienza e quale può essere il nostro contributo in un momento del genere.
– E poi cari amici, sì, ripetiamoci che finirà bene, visualizziamo tutti la fine di questa drammatica vicenda, visualizziamoci al mare o in montagna, a festeggiare il compleanno di nostro figlio o dei nostri genitori in compagnia, all’aperitivo con gli amici e al parco coi bambini, visualizziamo tutto ciò che amavamo della nostra vita “precedente” e che vorremmo fare di nuovo e sentiamo la gioia per ciò che (speriamo il più presto possibile) avverrà. Questo atteggiamento non vuol dire essere ingenui e poco realisti, vuol dire usare un potente mezzo che tutti abbiamo, la visualizzazione, per creare la realtà che vorremmo. Farlo tutti insieme la renderà più potente.
Rileggiamo ora insieme due citazioni che ci aiutano a riflettere…
Da Libertà in prigione di Roberto Assagioli
“Mi sono reso conto di essere libero di poter scegliere tra due atteggiamenti diversi nei confronti della mia situazione, dando ad essa un certo significato, oppure un altro, utilizzandola in un modo o in un altro. Potevo ribellarmi o sottomettermi passivamente, vegetando, oppure potevo indulgere nel malsano piacere dell’autocommiserazione, assumendo il ruolo del martire. Oppure ancora potevo prendere la situazione con umorismo considerandola come una nuova ed interessante esperienza. Potevo trasformarla in un periodo di riposo, o in un periodo di pensiero intenso su questioni personali, riflettendo sulla mia vita passata, o su problemi scientifici e filosofici; oppure potevo approfittare della situazione per sottopormi a un training delle facoltà psicologiche e fare esperimenti psicologici ben precisi su me stesso. O, per concludere, potevo farla diventare un ritiro spirituale: finalmente lontano dal mondo. Non avevo alcun dubbio: dipendeva da me.”
Dal Diario di Etty Hillesum
“Se rimarremo vivi, queste saranno altrettante ferite che dovremo portarci dentro per sempre. Eppure non riesco a trovare assurda la vita. E Dio non è nemmeno responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i responsabili siamo noi! Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell’altro, so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto.”
“Si deve anche essere capaci di vivere senza libri e senza niente. Esisterà pur sempre un pezzettino di cielo da poter guardare, e abbastanza spazio dentro di me per congiungere le mani in una preghiera.”
“Alla fine, noi abbiamo solo un dovere morale: reclamare larghe aree di pace in noi stessi, più e più pace, e di rifletterle verso gli altri. E più pace c’è in noi, più pace ci sarà nel nostro mondo turbolento