LA FRAGILITÀ E IL CUORE
Stiamo vivendo un periodo particolare, questo tutti (gli italiani quantomeno) lo sanno.
Ci siamo ritrovati nell’arco di pochi giorni, neanche un mese, in una realtà che ha cambiato tutti i connotati.
Nella mia vita non mi è mai capitato di osservare quello che sta accadendo alla società di oggi: limitazioni negli spostamenti, chiusura delle attività (commerciali, ludiche, culturali, di ristoro), lavoro da casa, blocco delle relazioni, reparti di ospedali saturi ed una paura diffusa nell’aria più penetrante del virus che ha causato tutto questo.
Tante cose si sono lette sui giornali, tante cose sono state dette nei video e nei servizi trasmessi sui vari canali internet, televisioni e social (whatsapp, facebook, …).
Io in questo periodo sto sentendo in particolare una corrente sottile, quella della fragilità.
Questo virus ha messo l’uomo di fronte alla sua fragilità, ed ho potuto osservare come ognuno reagisce di fronte a questa.
Ho visto persone molto sensibili che si sono immediatamente spaventate: costoro, fin dalle prime notizie che arrivavano dalla Cina, si sono armate di disinfettanti per le mani e hanno iniziato, prima di tutti gli altri, ad evitare qualsiasi contatto fisico.
Ho visto persone spavalde, che negavano ogni tipo di pericolosità del virus, sostenendo da una parte che non era poi così pericoloso e dall’altra che se anche fossero state contagiate non avrebbero subito alcun danno.
E poi la maggior parte delle persone, che si spostava un po’ tra i due comportamenti polari sopra indicati senza mai toccare gli estremi, spesso influenzate dalle notizie che via via si diffondevano, ahimè, in maniera pure contradditoria.
Di fondo però sentivo dietro a tutti un odore strano, quello della paura, paura di una minaccia silenziosa, invisibile, difficilmente fronteggiabile e “difficilmente decifrabile” nei suoi reali effetti.
Io sono partito da una posizione simile a quella della tipologia dello “spavaldo” e sono arrivato oggi a uscire di casa con il disinfettante per le mani e tenendomi a più di qualche metro di distanza da ogni altro essere umano. Mi sono sorpreso nel riconoscere in me una paura inattesa quando una bambina che giocava con un drone al parco si è avvicinata a me per raccoglierlo: ho quasi fatto fatica a salutare lei e la sua mamma.
Ed io di salute sto bene.
E non dovrei essere nelle fasce più a rischio di questo virus che sembra essere maggiormente pericoloso se entra in contatto con persone anziane o che hanno altre patologie.
Però ci sono persone molto vicine a me che rientrano nelle due categorie a rischio.
Mettendomi nei panni di queste persone mi rendo conto di come la situazione di oggi non sia per niente uno scherzo.
L’uomo è fragile, noi siamo fragili.
Penso che in questo periodo sia richiesta una grande sensibilità da parte di ciascuno di noi, una sensibilità verso noi stessi e verso chi già vive delle sofferenze che vengono acuite da questa situazione.
Mi sono chiesto: che cosa posso fare io?
Forse posso entrare in contatto con la mia empatia (qualsiasi sia il suo grado di sviluppo…) e pensare un po’ meno a me stesso, alle cose a cui devo rinunciare, e a cercare di lamentarmi consciamente o inconsciamente un po’ meno per provare ad essere più vicino agli altri, anche “virtualmente”.
Essere vicino agli altri con la parte più luminosa di me, non con compatimento o commiserazione.
Penso che ognuno di noi abbia delle qualità con cui può entrare in contatto e che può mettere a disposizione degli altri: c’è chi è spiritoso, chi è comprensivo, chi è sensibile, chi è creativo, chi gioioso, chi amorevole, chi saggio, chi pratico, chi positivo, chi divertente, chi preparato e interessante da ascoltare, chi amichevole …
Toccare le nostre risorse accende la nostra anima e quella degli altri.
In questo periodo mi torna alla memoria la bella frase di uno dei miei maestri:
“Se ti prendi cura di te, ti prendi cura di tutto”.
Allora prenderci cura di noi nel senso di cercare di proteggerci dal virus fa sì che non lo trasmetteremo ad altri, e se ci prendiamo cura del nostro “buonumore” farà si che lo potremo, in qualche modo, trasmettere agli altri.
Poi c’è un’altra fascia di persone che penso abbiano bisogno di una attenzione particolare: i bambini.
Anche loro sono super-immersi in questa situazione, hanno chiuso gli asili, le scuole, e si trovano a casa con i nonni o i genitori per un tempo ‘diverso’ da quello cui erano abituati. Hanno dovuto cambiare le abitudini anche loro.
In più, volenti o nolenti, tutti a casa parliamo un po’ di questo virus, dei danni che fa, dei ricoveri, delle persone che sono state colpite e non ce l’hanno fatta, delle precauzioni da prendere, …
Tutto questo viene completamente assorbito dai bambini, sia che lo esternino sia che non lo facciano. Mi ricordo ancora quando nell’86 c’è stato il disastro di Chernobyl, avevo 11 anni, e mia nonna paterna aveva detto una volta che dovevamo avvolgerci intorno un asciugamano bagnato quando sarebbe passata la nube sopra l’Italia…
Poi io non mi sono avvolto nell’asciugamano ed eccomi qui come sono oggi…😉
Penso che con i bambini la strada maestra sia sempre la stessa: bisogna essere sinceri ma parlare il loro linguaggio. Poi è importante fare attenzione al nostro stato d’animo, perché il nostro stato d’animo è quello che sentono maggiormente i bambini.
Mi hanno girato un video molto simpatico con un bambino che spiega in modo giocoso come ci si deve comportare con il virus. Lo invio nelle chat dei miei amici e invito i genitori che conosco, se lo ritengono, a vederlo insieme ai loro figli. Penso che per un piccolo vedere un video, un film, un cartone con i genitori sia un momento bello e di aiuto per non caricarsi troppo di una situazione già di per sé pesante.
Di seguito allego il link: https://www.youtube.com/watch?v=ttfyyQGdZFg
Penso che alla fine questo virus, in qualche modo, toccando la nostra fragilità possa darci la possibilità di entrare un po’ più in contatto con il nostro cuore, e con quello degli altri.
“Non
è tanto il viaggio che è importante; è il modo in cui trattiamo coloro che
incontriamo e coloro che ci circondano, lungo la strada.”
Jeremy Aldana
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