IL CODICE DELL’ANIMA: RICONNETTERCI ALLA NOSTRA VOCAZIONE

Quando si parla di codice io penso a quello della catena della bicicletta che mi sono dimenticato (e ora non riesco più a togliere la catena dal manubrio…).

In genere quando si sente “codici” ci viene in mente il codice “PIN” del Bancomat, del cellulare o computer, o le centinaia di password che ormai ognuno di noi si deve ricordare per l’accesso ai siti internet dove siamo registrati, alle App e alle caselle di posta elettronica…

Agli amanti dei libri gialli – e dei film – la parola “codice” riporta immediatamente a “da Vinci”: “Il codice da Vinci”, Dan Brown, circa 85 milioni di copie del libro vendute e 760 milioni di dollari incassati dal film.

Il libro “Il codice dell’anima” di James Hillman non c’entra niente con tutto quello che ho scritto sopra ed è uno dei più “rivelatori” che ho letto quest’anno (e negli ultimi anni).

Hillman, psicanalista – saggista – filosofo, aveva conosciuto Jung, e divenne anche Director of Studies al C.G. Jung Institute in Svizzera dopo essersi diplomato con summa cum laude all’Università di Zurigo. Ha scritto numerosi saggi e libri, ed io ho letto il suo più famoso, “Il codice dell’anima” appunto, che ha scritto nel 1996, e nel quale traspare tutta la sua preparazione psicologica – filosofica e sociologica.

Da questo ho tratto 3 (s)punti che voglio condividere con te perché sono come dei flash, degli stimoli potentissimi, che possono aiutarci a cambiare il nostro modo di vivere la vita fin da subito.

Andiamo con ordine, ecco i tre spunti:

  1. La relazione fra la nostra vita materiale e quella spirituale: la teoria della ghianda, del daimon o vocazione (centro del libro)
  2. Il recupero del mistero – dell’invisibile – nella nostra vita quotidiana
  3. La rilettura delle biografie delle vite delle persone e il superamento della mediocrità

Con questo post non voglio riassumere il libro, piuttosto gettare dei semi per stimolarti a leggerlo (qualora non lo avessi ancora fatto…) in modo che anche tu possa trarne quel “nutrimento” spirituale che ho ricevuto io.

1. La ghianda e il daimon

Ognuno di noi nasce con una vita ‘corporale’ che noi tutti ben conosciamo (aspetto esteriore, viso, corpo) e che comprende anche la mente, la razionalità, il ragionamento, … + una ghianda in nuce che in qualche modo deve dispiegarsi, aprirsi al mondo, ‘discendere’ nel mondo, e che è la nostra vocazione.

Questa ghianda, chiamata anche “daimon”, in realtà però è come se vivesse di vita propria, in noi e fuori da noi, giacchè è una parte spirituale, fuori quindi dalla nostra corporalità, ma che è a noi legata. E a noi, parte corporale, chiede espressione.

Da qui una sorta di conflitto, negazione, perché la parte corporale da una parte fa fatica a vederla e riconoscerla, dall’altra si guarda bene dal cederle il controllo…

Ma senza il daimon anche la parte corporale fa poca strada, perché è legata a doppia mandata con il daimon che è sceso nel mondo insieme a noi e necessita di essere manifestato.

Finchè non si esprime il daimon, la parte corporale vaga in una terra priva di realizzazione e sperimenta il vuoto a livello profondo, in maniera più o meno consapevole. La sensazione di “mancata realizzazione” è strettamente collegata alla mancata espressione del daimon. Anche la necessità di continue distrazioni è legata ad una ghianda non ancora dischiusa.

2. Il mistero

Per trovare la nostra vocazione dobbiamo ricontattare il mistero.

Nella mia vita spesso sono andato alla ricerca di qualcosa che non sapevo cos’era.

E non sapendolo ho poi perso un po’ l’abitudine a frequentare quel posto, quell’altrove, che non ha un senso razionale per esistere, ma forse ha più senso di tante cose banali e scontate che facciamo tutti i giorni.

In particolare mi ricordo che mentre frequentavo l’Università, finito di studiare e di fare le attività ‘necessarie’ alla vita, alle 23:00 di notte prendevo la Vespa e andavo alla passeggiata di Nervi, a Genova, a vedere il mare.

Andavo da solo, non avevo appuntamenti se non con me stesso.

Non so cosa cercassi, non lo so ancora adesso che sono passati 20 anni, ma quelle uscite avevano (ed hanno) un senso, pur non spiegabile a parole.

Il mistero ci rimette in contatto con tutta la nostra parte ‘sensibile’ e ultra-sensibile (oltre i 5 sensi), le nostre poesie, il nostro vagabondare senza meta, la nostra contemplazione della natura e del silenzio, le fotografie che scattiamo a qualcosa che ci colpisce e improvvisamente diviene ‘urgente’…

Forse lì, da qualche parte, in quel mistero, c’è la nostra ghianda, il nostro daimon. Forse è lui che cerchiamo nei nostri vagabondaggi notturni, che proviamo a esprimere in versi, che tentiamo di scorgere nella contemplazione della natura o di immortalare con le foto dei nostri cellulari… quell’invisibile che è dentro o vicino a noi.

3. Biografia e unicità

Il libro di Hillman è costellato di biografie, di storie di persone e personaggi realmente esistiti (viene anche citato Quentin Tarantino insieme al torero Manolete, qualche Presidente degli Stati Uniti, Hitler quando analizza “il cattivo seme” e decine di altri). Le loro biografie vengono analizzate non tanto per cogliere gli aspetti razionali legati alla parte della vita ‘corporale’ (vedi punto 1), ma per ricercare la loro vocazione, cercando di desumere e riconoscere la parte legata alla ghianda, al daimon, che in qualche modo è riuscita a trovare espressione in quelle vite. Spesso le analisi portano a vedere come questa vocazione si manifestava già fin da bambini, in modo completo, con una presenza che era già totale, non necessitava di sviluppo alcuno.

Il daimon è già completo quando nasciamo, gli manca solo la manifestazione.

Ma non sono solo le biografie dei personaggi raccontati che hanno manifestato il loro daimon che sono “importanti”.

Ognuno di noi, con la sua unicità, è uguale agli altri (in quanto essere unico portatore di un suo specifico daimon) e diverso da tutti gli altri (giacchè la vocazione di ciascuno di noi è personalissima e che richiede una sua espressione unica). Non esiste quindi la mediocrità, l’essere mediocri, lo svolgere un lavoro mediocre, …

Ognuno di noi, con la sua biografia, con le sue caratteristiche e il suo carattere, è unico, originale ed esprime e può esprimere sempre più il suo carattere e la sua vocazione in questa presenza terrena.

Una cosa che va detta subito e con onestà è che il libro non dà indicazioni su come trovare il proprio daimon, come dischiudere la propria ghianda, come trovare la propria vocazione: non è uno di quei libri di auto-aiuto che fornisce tecniche e suggerimenti utili per realizzare un obiettivo. Ma se devo essere sincero non avevo questa aspettativa, e penso che metterci in contatto con la nostra parte legata al mistero, farcelo riassaporare, valga più di qualsiasi ‘esercizietto’ per trovare un qualcosa che non va neanche chiesto alla nostra parte cosciente.

Il codice dell’anima porta nella nostra vita qualcosa che molti di noi hanno perso, che io avevo un po’ perso, una fiducia in quegli aspetti di noi più misteriosi, meno definibili e raccontabili, che non necessitano di essere narrati ma solo espressi, parti di noi a cui è importante riconnettersi, invisibili ma altrettanto fondamentali per la nostra sopravvivenza come il bere, il dormire e il mangiare.

Quello che possiamo chiamare: “il nutrimento per la nostra anima”.

“Ci sono più cose nella vita di ogni uomo di quante ne ammettano le nostre teorie su di essa”.

James Hillman

L’immagine del post è tratta da internet ed è opera di Giuseppe Arigliano (1917 – 1999): “Veduta notturna dalla passeggiata di Nervi al chiaro di luna”

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