IL TEMPO CHE NON HO PERSO
Ho passato i 20 anni da un po’…
Ho anche passato i 30, e pure i 40.
Non sono vecchio, ma un po’ ho vissuto.
Stamattina è un sabato che sembra una domenica. Fuori dalla finestra della sala scorre l’Adige in una giornata invernale di sole. La cassa Sonos diffonde in tutta la sala le note di una mia playslist di Gianluca Grignani.
Non posso dire da dove, non se da qualche angolo recondito della mente o se da un ventricolo del cuore, mi è arrivata una consapevolezza: quella del tempo che non ho perduto.
Nella vita facciamo tante cose: ne abbiamo fatte in passato, ne facciamo ora, ne dobbiamo fare domani.
Molte delle tante cose che facciamo scivolano via, come foglie trasportate dal fiume. Galleggiano sulla superficie della nostra vita e se ne vanno, senza lasciare traccia.
Se ti volti indietro, dopo un giorno o un anno, non le vedi più. Quelle foglie hanno perso forma e colori.
Ci sono due modi in cui perdiamo tempo: dietro ai passatempi e in tutti i momenti che abbiamo vissuto in modo non autentico.
I passatempi costellano la nostra vita, quella di ieri e quella di oggi. Passare tempo sui social, perderci dietro alle notizie di attualità, farci assorbire da vortici di pensieri inconcludenti… Tutto il tempo dedicato a questi passatempi è perso e non ci lascia niente, non ci trasforma, è sottratto alla nostra vera vita.
Un altro spaccato di tempo perso è quando non siamo stati autentici. I giorni in cui avevamo una maschera, in cui eravamo troppo insicuri o spaventati per essere noi stessi. E perché ci mascheriamo? Perché il mondo là fuori, delle volte, ci fa paura. E quando ti nascondi, quando non sei autentico, non vivi veramente. Perdi tempo.
Cos’è che ci fa paura?
Il giudizio degli altri. L’opinione di persone che incontri per la prima volta a una festa, e che magari non rivedrai mai più. La mancata attenzione di una donna che ti piace. La valutazione del tuo capo al lavoro. Il parere del tuo migliore amico. Un rimprovero dei tuoi genitori.
E a pensarci dopo, è una cosa quasi ridicola perdere la nostra autenticità per questi avvenimenti. Quando alla fine scopri un po’ chi sei, e impari a volerti bene così come sei, questa paura svanisce: si asciuga come la rugiada mattutina quando spunta il sole.
Ma per tanto tempo questa paura è reale, una minaccia vera e cruda come una spada tagliente appoggiata sul collo nudo. Una paura che ci condiziona, ci allontana da chi siamo. Blocca la nostra espressione, o almeno quella più pura.
Vediamo la nostra immagine riflessa negli occhi degli altri. E se il riflesso non è amorevole, andiamo in cortocircuito.
E così gli occhi degli altri possono diventare killer.
Ma come facciamo a vederci se non attraverso gli occhi degli altri?
Centinaia di libri di psicologia e filosofia consumati su questo dubbio…
Chiudendo i nostri occhi.
Ascoltandoci dentro.
Isolandoci.
Avendo l’accortezza di essere coerenti con quello che siamo.
Sapendo che quello che siamo va bene, anche se ci sembra di non andare bene.
Non ci sarebbe un artista che scrive una canzone, che la interpreta, un pittore che dipinge una tela, uno scrittore che scrive una storia, se non andassimo bene come siamo.
E se il tempo in cui non ero autentico è stato tempo perso… qual è il tempo che non ho perso?
Il tempo che non ho perso è quello dove ho messo il cuore in quello che facevo.
Tutta la vita in cui ero in contatto con me stesso e con gli altri.
Ma anche solo con me stesso.
Il tempo che non ho perso è quello dei giri in Vespa a Genova inseguendo i miei sogni e le mie fantasie. I miei momenti a contatto con il mare. Il tempo in cui ho contemplato la mia città dalle alture di Righi, dove la vista si perde dal porto della città fino al promontorio di Portofino. Dove la vista spazia dal cemento dei palazzi della città e per tutte le colline verdi dei comuni che si tuffano nel mare.
Il tempo che non ho perso sono stati i baci veri. Le notti ritagliate al sonno per unire tutto me stesso alla vita di qualche donna che ha deciso di fare un po’ di strada con me, una passeggiata, una vacanza o un pezzo di cammino più intenso.
Il tempo che non ho perso è quello condiviso con amici o le amiche ai concerti. Quei concerti di gruppi o cantanti che con le loro musiche e parole ti fanno vibrare l’anima.
Il tempo che non ho perso è quello in cui ho macinato chilometri in macchina in compagnia dei miei migliori amici. Quelli per andare a Milano, quelli serali in cui vagavamo per le città senza una meta se non quella di trovare ognuno un po’ di sollievo nel cuore dell’altro.
Il tempo che non ho perso è quello che ho usato per raggiungere i miei obiettivi di vita come l’università o il counseling, quello usato per coltivare gli sport che mi piacevano.
Il tempo che non ho perso è quello in cui sono stato sincero con le persone anche se le ho fatte soffrire.
Il tempo che non ho perso è stato quello in cui sono stato vicino a una persona che non stava bene e ho cercato di darle conforto.
Il tempo che non ho perso è quello in cui ho riso di gusto con amici simpatici, di una sera o di una vita.
Il tempo che non ho perso è quello in cui ho cambiato i pannolini ai miei figli, li ho guardati dormire, li ho presi in braccio e cullati.
Il tempo che non ho perso è quello in cui ho giocato a pallone con mio figlio, con i miei amici, con persone che avevano bisogno di una persona ed io sono andato a tappare un buco.
Il tempo che non ho perso è quello trascorso facendo giocare i miei gatti, quelli in cui li ho coccolati, anche se sono morti e sembra che quel tempo non sia stato utile, ma dare amore è sempre utile.
Il tempo che non ho perso è quello in cui mi sono fermato ad annusare la lavanda, quello in cui ho scattato delle foto notturne, quello in cui mi sono scaldato le mani ghiacciate col calore vivo di un fuoco.
Il tempo che non ho perso è quello in cui ho scritto dei post che hanno aiutato qualcuno a sentirsi un po’ meglio, magari perché hanno scoperto che quello che hanno vissuto loro lo viveva anche qualcun altro, e allora si sono sentiti meno soli.
E tu, qual è il tempo che non hai perso?
Alberto
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