CONNESSIONE
L’altro giorno, mentre mi avviavo in ufficio dopo aver accompagnato Lorenzo all’asilo, un quadro naturale mi si è parato davanti ed ha rapito la mia attenzione. Attraverso il parabrezza potevo vedere un bel sole mattutino riflettersi giallo sulle acque dell’Adige proprio al fianco della strada che stavo percorrendo.
Ho scattato qualche foto “mentale” a quel panorama e mi sono sentito in contatto con il momento che stavo vivendo, con il sole, il fiume, la macchina, la strada, il mio respiro.
Mi sono sentito profondamente “connesso”.
Connesso con me stesso e con quello che mi circondava in quel momento. Ho subito pensato alle altre mattine: ma perché non ricordo in maniera altrettanto vivida qualche momento delle altre mattine?
Pensandoci un po’ su mi è venuto in mente che in genere le altre mattine, tornando dall’asilo, riempio il vuoto che si é creato da quando Lorenzo é sceso dalla macchina con telefonate, musica, messaggi di whatsapp, video di youtube, podcast.
La cosa ironica è che anche tutte queste attività implicano una “connessione”: prendo il cellulare e grazie alla rete telefonica o internet riesco ad accedere a tutti i servizi di cui ho bisogno.
O di cui credo di aver bisogno.
Come diceva Gianni Dattilo (Psicologo, Psicoterapeuta e Didatta della SIPT) in una conferenza a Taormina mi sono reso conto che continuiamo a giocare con le parole, e riusciamo anche a prenderci in giro da soli.
Dattilo parlava degli schermi “touch”, che richiamano il contatto fisico, mentre in tutte le comunicazioni via ‘schermo’ (anche ‘touch’) il contatto fisico non può esserci.
Allo stesso modo, oggi nel novantanovepercento dei casi in cui parliamo di “connessione” ci riferiamo al collegamento a qualche rete: quante volte ci é capitato di dire “Scusa, non ti sento bene, qui la connessione non é buona….” oppure “Non ti ho risposto perché non c’era connessione…”, o ancora “Se perdo la connessione richiamami che sto entrando in galleria (se siamo in macchina) o in ascensore (se siamo a piedi)…”.
Ormai nessuno parla più della connessione con noi stessi, con l’ambiente, con le emozioni delle persone.
Più siamo “virtualmente” connessi, più siamo “fisicamente”, “emotivamente” e “intimamente” sconnessi.
Quando tengo in braccio mia figlia Luce, ora che ha due mesi, se la cullo e intanto guardo il telefonino, lei si sveglia e si mette a piangere.
Se invece la guardo mentre la cullo, ogni tanto mi accorgo che mi dá una occhiata, e, rassicurata dal fatto che ho l’attenzione su di lei, richiude gli occhi e si lascia cadere addormentata.
I bambini ci aiutano a collegarci alla realtà, quella vera, che respira, non quella degli schermi (vedi anche il delicato Post di Eleonora “PRESENZA” sul tema).
É sempre più difficile scollegarci da telefonini, tablet e computer, gli stimoli elettronici sono seduttivi, stimolanti, gratificanti e creano una fortissima dipendenza. Ma il loro nutrimento é della loro stessa consistenza, virtuale, e alla fine non fanno altro che prosciugarci, di energia, di risorse, di tempo, e ci lasciano più vuoti di prima di utilizzarli.
Collegarci al presente invece ci consente di toccare la realtà, quella che ci sta intorno e che noi stessi viviamo, e di provare tutte quelle sensazioni intense e coinvolgenti che rendono la vita degna di essere vissuta.
Trovo che la natura sia spesso una buona via per ritrovare questa connessione: un paesaggio innevato, un prato fiorito, un mare luccicante, una distesa di foglie autunnali, un sole riflesso sul fiume, uno sguardo di un neonato riportano istantaneamente al presente, ad un silenzio interiore e ad una gioia calma in grado di riempirci da dentro.
Alberto
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