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GESTIRE UN’EMOZIONE DIFFICILE: UNA TECNICA SEMPLICE E POTENTE

LA TECNICA PER GESTIRE EMOZIONI DIFFICILI: LA RUOTA DELLA BICICLETTA

Nella vita capitano situazioni che ci fanno stare male. In realtà capitano quasi tutti i giorni.

Sono situazioni in cui abbiamo delle forti reazioni emotive di tristezza, angoscia, stress, rabbia, irritazione, paura.

Quando affrontiamo un problema o una situazione che ci fa stare male possiamo utilizzare la tecnica della ruota della bicicletta.

Questa tecnica ci aiuta in 3 modi:

  1. Troviamo la via per risolvere la situazione
  2. Facciamo un salto di consapevolezza nella nostra vita
  3. Ci evolviamo a 360°

La tecnica della gestione emotiva delle situazioni consiste nell’immaginare una ruota di una bicicletta dove al centro c’è la situazione che ci fa stare male e i raggi sono tutti i pensieri e le emozioni che questo problema provoca in noi e la ruota sono le soluzioni che ci fanno ripartire. Ho rivisto questa tecnica ampliando un approccio indicato nel libro “Come analizzare le persone” di Valerio Loffredo.

Prendere consapevolezza dell’intera ruota ci aiuta a vedere una ampia gamma di soluzioni al problema e soprattutto aumenta la nostra area di auto-coscienza: iniziamo a conoscerci meglio.

Possiamo fare questo lavoro da soli o con il supporto di un professionista nelle relazioni di aiuto.

Facciamo un esempio nel mondo lavorativo.

FOCALIZZA L’EMOZIONE DIFFICILE: IL CENTRO DELLA RUOTA

SITUAZIONE: consegniamo un lavoro ma il capo si lamenta perché la consegna è avvenuta in ritardo rispetto alle sue aspettative. Il lavoro era anche parecchio complesso, riteniamo di averlo fatto bene e questa reazione del capo provoca rabbia e frustrazione in oi.

Questa è la situazione che ci fa soffrire e che mettiamo al centro della ruota della bicicletta.

FOCALIZZA LE ALTRE EMOZIONI: I RAGGI DELLA RUOTA

Ora vediamo i raggi.

I raggi sono tutti i pensieri, comportamenti ed emozioni che si nascondono sotto la rabbia/ sofferenza principale. Vediamo i raggi:

  1. Quando mi è stato assegnato il lavoro da fare non ho chiesto la data in cui ci si aspettava la chiusura del lavoro;
  2. Mentre svolgevo il lavoro e emergevano delle nuove difficoltà, le ho risolte tutte ma non ho aggiornato il mio capo sul fatto che c’erano delle criticità impreviste da risolvere che avrebbero allungato i tempi di consegna;
  3. Non pensando che quel lavoro era “super prioritario”, oltre a quello ho smarcato anche altre attività urgenti che però hanno ritardato la conclusione del compito;
  4. Poi c’è il raggio della paura che il rimprovero del capo comprometta il nostro rapporto e lui non mi stimi più come prima;
  5. La paura che il capo mi farà una valutazione negativa e non riceverò alcun premio;
  6. La paura che non si fiderà più di me e non mi assegni più lavori strategici;
  7. La frustrazione derivata dallo svalutarmi perché non sono stato riconosciuto come un lavoratore affidabile, nonostante i miei sforzi!
  8. La tristezza derivata dalla perdita di autostima perché non ho rispettato una scadenza;
  9. La tristezza di non aver visto riconosciuto un lavoro ben fatto, anche se nei tempi non consoni.

TROVA LE SOLUZIONI PER CIASCUN RAGGIO: COSTRUISCI LA RUOTA

Ora puoi fare la crescita di consapevolezza.

Scomposto il malessere principale – rabbia del capo per mancato rispetto della scadenza – in tutti i micro-comportamenti che hanno portato a quell’evento e preso atto di tutte le emozioni che girano intorno al vissuto provato, possiamo cominciare a sciogliere uno per uno tutti i raggi. Questa operazione ci consentirà di costruire “la ruota”, unire i puntini e ritornare alla nostra integrità.

Ogni raggio chiede espressione e soluzione nel significato etimologico del termine: dal latino “solutio”, sciogliere, quindi scioglimento.

Una volta sciolti i nostri vissuti problematici recupereremo il nostro benessere e faremo diversi passi avanti anche di crescita personale.

Vediamo come fare nell’esempio:

  1. Quando mi è stato assegnato il lavoro da fare non ho chiesto la data in cui ci si aspettava la chiusura del lavoro -> NUOVO COMPORTAMENTO ASSERTIVO: “Dalla prossima volta chiederò sempre la data di consegna attesa per ogni lavoro che mi viene commissionato dal mio capo!”.
  2. Mentre svolgevo il lavoro e emergevano delle nuove difficoltà, le ho risolte tutte ma non ho aggiornato il mio capo sul fatto che c’erano delle criticità impreviste da risolvere che avrebbero allungato i tempi di consegna -> NUOVO COMPORTAMENTO ASSERTIVO: “La prossima volta avviso il mio capo delle criticità che si sono presentate, anche dopo averle risolte ma lo tengo aggiornato”.
  3. Non pensando che quel lavoro era “super prioritario”, oltre a quello ho smarcato anche altre attività urgenti che però hanno ritardato la conclusione del compito -> NUOVO COMPORTAMENTO: “La prossima volta prima di dar corso alle attività urgenti mi allineo col mio capo per valutare con lui le priorità”.
  4. Poi c’è il raggio della paura che il rimprovero del capo comprometta il nostro rapporto e lui non mi stimi più come prima -> CONSAPEVOLEZZA: “Non è certo un lavoro non andato bene che compromette la mia credibilità creata in tanti anni di lavoro insieme”.
  5. La paura che il capo mi farà una valutazione negativa e non riceverò alcun premio -> CONSAPEVOLEZZA: “Non è da un singolo lavoro andato male che si compromette una valutazione di un anno”.
  6. La paura che non si fiderà più di me e non mi assegni più lavori strategici -> NUOVO COMPORTAMENTO ASSERTIVO: “Fisso un colloquio col mio capo dove condivido le mie riflessioni sugli errori che ho commesso di cui mi sono avveduto e ascolto i suoi consigli su come recuperare la situazione ricostruendo un legame di fiducia”.
  7. La frustrazione derivata dallo svalutarmi perché non sono stato riconosciuto come un lavoratore affidabile, nonostante i miei sforzi! -> CONSAPEVOLEZZA: “So il motivo per cui il mio lavoro non è stato riconosciuto e mi assumo le responsabilità per gli aspetti che potevo gestire meglio. Sono una persona che vale anche se qualche volta non sono perfetto o riconosciuto dal mio capo”.
  8. La tristezza derivata dalla perdita di autostima perché non ho rispettato una scadenza -> CONSAPEVOLEZZA: “Il mio valore poggia su basi più solide dal mancato rispetto di una scadenza. Ripeto a me stesso: ‘io valgo incondizionatamente’”.
  9. La tristezza di non aver visto riconosciuto un lavoro ben fatto, anche se nei tempi non consoni -> CONSAPEVOLEZZA: “Anche se ho fatto un errore sui tempi di consegna, mi riconosco che il lavoro che ho eseguito è di alto livello e sono grato a me stesso per il mio impegno e le mie capacità”.

METTI IN ATTO LE SOLUZIONI E RISOLVI L’EMOZIONE DIFFICILE

Eccoci arrivati in fondo.

Ora hai un piano di azioni da compiere per risolvere la situazione difficile.

Non solo!

Le nuove consapevolezze che hai acquisto ti rendono anche una persona diversa da quella che eri prima, più centrata e responsabile.

I nuovi comportamenti che hai individuato ti permettono di fare un salto evolutivo e una crescita personale immediata. Non sei più lo stesso di prima, e ti sei trasformato in modo tale che non ti capiterà più di ricadere in una situazione analoga.

Certo, non avrai risolto tutti i problemi, ma già non ripetere la storia, gli errori passati è un ottimo passo in avanti nel nostro cammino verso un maggior benessere.

Grazie al lavoro che hai fatto hai utilizzato uno strumento cardine della psicosintesi che si chiama “disidentificazione”.

Disidentificazione dalle emozioni, dai pensieri e da tutto ciò che, se non ne siamo consapevoli, ci travolge e trascina con sé.

Hai sciolto non solo l’emozione difficile primaria, la situazione che ti provocava sofferenza, ma sei andato a toccare anche altre emozioni e pensieri più nascosti, che, se non riconosciuti, remano contro di noi.

Non è sempre facile fare tutto questo percorso da soli, per cui è bene provarci e, se non ci si riesce, ci si può far aiutare da un professionista nella relazione di aiuto.

Il valore di ogni difficoltà che incontriamo nella vita è immenso, se lo sappiamo gestire!

Alberto Ruffinengo
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CRISI E CAMBIAMENTO come uscire da un periodo difficile?

La vita è una scuola di resistenza. È una scuola dove si deve imparare ad amare, se stessi e gli altri, dove si deve imparare a essere flessibili, a cadere e a rialzarsi, ad accettarsi nella nostra umanità con i nostri punti forti e le nostre debolezze.

Sta mattina, dopo una telefonata con una cara amica riflettevo sul senso della malattia, e delle crisi. Io penso che una malattia e una crisi accadano quando qualcosa non sta andando nella direzione in cui la nostra anima vorrebbe. Quando si fa finta di niente e non si trova il coraggio di cambiare. Chiunque sta passando un periodo di crisi o sta affrontando una malattia dovrebbe prendere carta e penna e dovrebbe rispondere a questa domanda: “che cosa mi ha ammalato?”

Quando siamo felici, innamorati, pieni di energia, quando esprimiamo noi stessi e le nostre potenzialità la vita è un posto meraviglioso dove stare. Ma le cose non vanno sempre così, c’è sempre un cambiamento che ci fa invertire la rotta. 

Molte volte le nostre paure, la nostra inerzia, la nostra incapacità di cambiare, ci portano a ripetere vecchi schemi e a vivere una vita che non ci soddisfa. 

Ci lamentiamo, ma non la cambiamo. Allora, se per tanto tempo ci lamentiamo ma non facciamo qualcosa per cambiare sarà la vita a imporci il cambiamento: un lutto, una malattia, un cambio o la perdita del lavoro, una crisi sentimentale, ecc. Succede qualcosa che ci da uno scossone per farci aprire gli occhi e “fare qualcosa per uscire da quella crisi”. 

Bisogna essere sinceri con se stessi e guardarsi allo specchio e chiedersi: “cosa mi ha fatto ammalare? Cosa mi ha mandato in crisi?” Ma non è l’evento traumatico in sé che scatena la sofferenza, è tutto quello che c’era prima che ha preparato il terreno affinché si verificasse quella crisi. 

Facciamo un esempio, se mi ammalo vuol dire che il mio corpo era stressato, il mio sistema immunitario non stava funzionando bene. Perché? Come era la mia vita negli anni precedenti allo sviluppo della malattia? Se subisco una perdita, un lutto posso soffrire per la mancanza di quella persona e vivere un lutto fisiologico oppure posso entrare in uno stato depressivo duraturo. In questo secondo caso il lutto ha smosso delle ferite pre-esistenti. Se vengo mollato dal fidanzato o dalla compagna evidentemente le cose non andavano molto bene tra noi, e perché ho permesso che le cose andassero male? 

Insomma a mio avviso, se la crisi avviene per farci cambiare rotta, la guarigione, sia fisica che psichica, avviene quando ritroviamo la rotta.

Ci può volere un mese come un anno, o più tempo ancora. Per quello le cure mediche funzionano fino a un certo punto. E anche la terapia funziona solo se ci mettiamo d’impegno a cambiare: non può essere un medico a guarire la nostra vita, ci può aiutare ad alleviare i sintomi, ma non può cambiare per noi. E lo stesso un terapeuta, o un counselor può aprirci gli occhi, ma non può fare al posto nostro il cambiamento.

Mentre facevo queste riflessioni ho creato questo strumento che ci può aiutare a invertire la rotta e ci può agevolare nel cambiamento.

Prendi un foglio e scrivi:

QUALI SONO LE COSE CHE “MI HANNO AMMALATO” (O FATTO ENTRARE IN CRISI)?

Fai un elenco dettagliato per punti, io ne ho scritti più di venti.

Finito l’elenco fanne un altro: 

QUINDI, COSA MI GUARISCE?

Ora trasforma le affermazioni di prima: per esempio se tra le cose che “mi hanno ammalato” c’è “occuparmi troppo degli altri” scriverò “dedicare tempo a me stesso”, se nel primo elenco  c’è “stare troppo chiuso in casa” scriverò “uscire tutti i giorni per una passeggiata”, se nel primo elenco scrivo “avere solo doveri”, scriverò “coltivare i piaceri nella mia vita…” ecc. ecc. 

Posso fare un elenco modificando le affermazioni del primo elenco, ma anche aggiungere altre cose che so che sono profondamente importanti per me.

Cerca poi di mettere ogni giorno in pratica le cose scritte nel secondo elenco.

 E in questo modo cambierai rotta. 

Certo ci può volere del tempo, ma un passo alla volta posso fare tanti cambiamenti che poi diventeranno grandi cambiamenti!

Eleonora

Eleonora Ievolella – Counselor Psicosintetico

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Perché la felicità non può essere nelle piccole cose?

Si dice spesso che se si riescono ad apprezzare le piccole cose della vita si può vivere nella gioia.

E’ vero!

Ogni giorno, che lo vogliamo o meno, siamo circondati dalla bellezza. Il fatto è che spesso siamo così avvolti nella nostra mente che non ce ne rendiamo conto.

La nostra mente rincorre spasmodicamente preoccupazioni e si fa rapire dalle ansie delle cose da fare. Oppure si distrae dietro a pensieri futili o video e post che ci vengono proposti dai social network.

Eppure la bellezza è lì che ci guarda.

Ma noi no, non la guardiamo.

Come una bella donna (o un bell’uomo) che ci fissa e noi non ce ne accorgiamo. Questo accade perché siamo chini con la testa a leggere messaggi sul nostro cellulare o siamo distratti dalle nostre 1.000 cose da fare e viaggiamo con “paraocchi immaginari”.

Da piccolo quando coi miei fratelli viaggiavamo con mia mamma lei ci diceva: “Guardate che bello questo posto, questo tramonto, questo monumento, toglietevi le fette di prosciutto dagli occhi!”.

Un paio di settimane fa, eravamo in macchina di ritorno da una gita al Lago di Garda, e c’era un magnifico tramonto. Per scherzare con mia moglie abbiamo ripreso questa espressione e l’abbiamo ripetuta ai nostri figli mentre li sentivamo litigare nei sedili posteriori: “Toglietevi le fette di salame dagli occhi (puoi farlo con qualsiasi affettato), e guardate che bel tramonto c’è sul lago!”.

A loro è piaciuta l’espressione – era abbastanza di impatto da catturare la loro attenzione – e si sono messi ad ammirare il panorama dal finestrino.

Poi abbiamo iniziato a giocare.

Luce mi ha detto: “Papà, togliti le fette di gongonzola (la sua versione di gorgonzola) dagli occhi…”. Sa che a me piace quel formaggio anche se lei lo detesta.

“Togliti le fette di bondola dagli occhi…” le ho risposto cercando di arricchire il suo vocabolario con parole tipiche del dialetto veronese (bondola vuol dire mortadella in Veneto) . L’occasione è stata buona anche per ridere insieme.

Stamattina mentre andavo in ufficio ed ero fermo ad un semaforo ho visto un’alba bellissima.

Ok, non ero al mare su una spiaggia mozzafiato ma in mezzo al traffico cittadino di Verona. Eppure il sole arancione, come quello del tramonto, era stupefacente. E anche se è inverno e fuori ci sono 3 gradi, grazie al riscaldamento della macchina sentivo sulla pelle un bel tepore avvolgente (in contrasto alla doccia fredda che avevo fatto un’oretta prima…).

Fermo al semaforo ho sorriso alla bellezza dell’alba e ne ho approfittato per scattare una foto. Certo, la foto non è un capolavoro in sé, ma lo è per quello che rappresenta per me, per il sentimento di gioia che si è attivato quando mi sono fermato a contemplare la bellezza di quel momento.

Durante la giornata viviamo tanti momenti diversi: quando lavoriamo siamo concentrati sulle attività che stiamo svolgendo, quando mangiamo possiamo sentire il gusto dei cibi che mastichiamo, quando prepariamo la cena stiamo attenti agli ingredienti, alla ricetta e ai fornelli (sennò è un attimo che ci bruciamo o ci tagliamo con i coltellazzi da cucina).

Possiamo provare gioia mentre facciamo qualsiasi attività, anche le più rountinarie della giornata se siamo centrati. Possiamo anche notare e “annotare” alcuni piccoli momenti di bellezza che si manifestano intorno a noi non legati alle attività che stiamo svolgendo, semplicemente osservando la natura.

E’ importante non solo notare le cose belle, ma fermarle in noi.

Dobbiamo fermare la nostra macchina operativa “orafaccioquesto-poiquello-poiquell’altro” e stare con quella cosa bella che abbiamo osservato. Si dice che se si sta 3 secondi con qualcosa, quella sensazione o emozione si imprime in noi, come un timbro o un tatuaggio. Se il tempo è minore svanisce ed è come se non ci fosse mai stata: non produce effetti in noi.

Perché è importante trovare il contatto con questi momenti di bellezza?

Perché aiutano a costruirci una “filosofia sana”.

E una filosofia sana, come spiega Chris Prentiss nel libro “Lo Zen e l’arte della felicità” – qui trovi la mia sintesi in 3 messaggi del libro – è vitale per il nostro benessere psico-fisico (clicca qui per leggere l’articolo).

DIARIO DEI MOMENTI DI BELLEZZA

Prova a collezionare anche tu “momenti di bellezza” durante la giornata, la sera annotali su un diario, sotto forma di ringraziamenti o semplicemente di “momenti felici”.

Prova a portare avanti questa pratica per qualche settimana e noterai una maggior ricchezza interiore, un livello più alto di felicità ed un miglioramento generalizzato del tuo umore. I nostri pensieri hanno un impatto sulla nostra biologia cellulare: c’è una catena di causa effetto nel nostro organismo che fa sì che nel rinnovamento continuo delle nostre cellule più “recettori” di emozioni positive abbiamo, più ne generiamo. Allo stesso modo più recettori “depressivi” abbiamo, più ne generiamo nel nostro organismo, condizionando sempre di più il nostro umore e i nostri comportamenti.

Questa è una scoperta della neuroscienziata Candace Pert (vedi il paragrafo “Il legame scientifico fra pensieri e biologia” – clicca qui se vuoi approfondire).

E’ quindi molto importante svolgere pratiche che ci mettano in contatto con la fiducia, la speranza, la bellezza e la felicità.

Più pratichi, più scorci di bellezza noterai, più sensazioni di felicità si materializzeranno nella tua vita quotidiana e più questa tecnica diventerà una attitudine in grado di cambiare la tua vita.

Buona pratica,

Alberto

Alberto Ruffinengo – Counsellor Professionista Psicosintetico

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LA MEDITAZIONE DELLE COCCOLE PERDUTE

Come scrivevo nel mio ultimo Post, per effettuare un processo di guarigione verso di noi dobbiamo essere dolci con noi stessi. Dobbiamo reinserire le coccole nella nostra vita. La mancanza di coccole ha creato nel corpo rigidità e sofferenza, e, meno ne abbiamo avute da bambini e nella vita in generale, più ne abbiamo bisogno. 

Ma come fare a reintrodurre le coccole nella nostra vita?

Intanto vale una premessa: ognuno di noi beneficia delle coccole non solo se le riceve, ma anche se le da. Fare le coccole a qualcuno è come riceverle. Quindi se avete dei bambini potete coccolare loro, magari la sera prima di dormire, se avere un partner, un cane o un gatto anche loro saranno ottimi per ricevere coccole da voi. 

Poi si può imparare a chiedere di ricevere coccole: a un membro della nostra famiglia, ai nostri genitori anche se siamo adulti, o agli amici. Se non vogliamo chiedere espressamente coccole possiamo farlo con il corpo: ci sediamo in braccio, abbracciamo o ci accoccoliamo vicino a qualcuno. Se non ci sentiamo di chiedere possiamo farlo noi, anche a persone a cui abitualmente non facciamo le coccole. Basta dire: “posso darti un abbraccio?” e farlo. Un altro modo dare/chiedere coccole è fare o chiedere un massaggio, ottimo con olio per massaggi, ma anche un semplice massaggio ai piedi davanti alla tv è perfetto. 

Cerchiamo di inserire queste pratiche tutti i giorni per iniziare a sanare le ferite del nostro bambino o della nostra bambina interiore. 

Ma se in quel momento non c’è nessuno, ma proprio nessuno a cui chiedere o a cui dare coccole possiamo procedere con questa meditazione che chiamerò delle “coccole perdute”. Ho registrato anche un audio da usare per chi vuole essere guidato e lo trovi sul mio canale youtube (lo trovi anche alla fine del Post).

Ci sdraiamo sul letto o sul divano in una posizione comoda, ascoltiamo il suono del respiro, mettiamo una mano sulla pancia, e una sul cuore, rimaniamo in ascolto qualche minuto. Immaginiamo di essere ai piedi di una montagna, siamo noi e la nostra parte bambina di 5-6 anni. Dobbiamo salire la montagna e raggiunge il vecchio Saggio. Prendiamo per mano la nostra parte piccola e iniziamo a salire, se lei è stanca o si oppone cerchiamo di usare la dolcezza per farla venire con noi, se è troppo stanca possiamo portarla in braccio o in spalle. Mentre saliamo ammiriamo il panorama, i fiori, le nuvole, il cielo. Poi finalmente arriviamo sulla vetta della montagna davanti al nostro Saggio. Parliamo con lui, gli raccontiamo i nostri problemi, i nostri desideri, cosa non va nella nostra vita, che cosa vorremmo che cambiasse, e poi ascoltiamo cosa ha da dire. Dopo di che abbracciamo la nostra parte piccola, la prendiamo in braccio e la abbracciamo, il Vecchio Saggio abbraccia sia noi che la nostra parte bambina. 

Mentre facciamo questa visualizzazione possiamo stare distesi sul letto con le mani sulla pancia e sul cuore, come eravamo all’inizio, oppure possiamo voltarci su un fianco in posizione fetale e abbracciarci, visualizzando noi che abbracciamo la nostra parte bambina e il vecchio Saggio che abbraccia noi. Poi immaginano un fascio di luce che scende dal cielo e ci avvolge tutti e tre completamente, è una luce calda che sentiamo entrare dentro di noi a sanare tutte le nostre ferite, tutte le sofferenze. Rimaniamo alcuni minuti così nella pace di questo abbraccio nella luce. Quando ci sentiamo pronti possiamo alzarci, salutare il vecchio Saggio e dirgli che torneremo ancora a trovarlo, e scendere dalla montagna mantenendo dentro di noi il calore di quell’abbraccio e di quella luce.

Se stai attraversando un momento complicato  e avvicinarti agli altri è per te difficile ti consiglio di praticare questa meditazione per due o tre settimane di fila, anche tutti i giorni. Poi, quando ti sentirai pronto, potrai scoprire che sarai più propenso a ritrovare un contatto anche con le altre persone, ovviamente con i tuoi tempi e senza forzare.

Eleonora Ievolella

Counselor professionista in Psicosintesi

eleonora.ievolella@albertoeleonora

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LA VERA FELICITA’ E’ RELATIVA

Sono appena riiniziate le scuole e, mentre facevo colazione al bar, ho sentito dei genitori che si lamentavano. Il problema era che nella classe dei loro figli erano cambiati tutti i maestri e loro lo hanno saputo solo all’ultimo. Fra l’altro i loro figli andavano in quinta elementare e cambiare tutti i maestri alla fine del percorso scolastico non era il massimo.

Purtroppo, la scuola pubblica non sta attraversando un gran periodo. L’ho sperimentato anche io direttamente con mio figlio. L’avvicendarsi di varie maestre nei primi anni e la pandemia hanno fatto sì che lui e i suoi compagni hanno accumulato un po’ di lacune. Anche ad altre classi come la sua non è andata benissimo. Lorenzo era contento di aver rivisto i suoi amici e, a sua insaputa, poteva anche essere felice di non aver cambiato i maestri. Non è uscito esaltato dal primo giorno di scuola ma alla fine è stato abbastanza bene. La felicità è relativa.

Mia moglie non sta bene in questo periodo. Problemi fisici, nulla di grave, ma sente un senso di stanchezza costante e noioso e un po’ di dolorini che vanno e vengono. Il primo giorno di scuola dei bambini stava un po’ meglio del solito, anche se non era del tutto a posto. Il fatto di stare meglio fisicamente l’ha resa di buonumore anche se, comunque, non stava bene. La felicità è relativa.

Dopo aver fatto colazione al bar sono andato a lavorare nella sede in centro della mia banca. Avevamo delle riunioni con esterni e allora avevamo appuntamento con loro in centro a Verona. Per 13 anni ho lavorato in centro a Verona. Da un paio di anni mi hanno spostato e la mia sede di lavoro è in un edificio in periferia. Lavorare nel centro storico per me è sempre un piacere: c’è tanta bellezza nel centro storico delle città italiane. Mi dà gioia andare in centro. Certo, non stavo andando in centro a fare shopping, ma a lavorare. La felicità è relativa.

Anche quando si è in vacanza possono succedere 1.000 contrattempi: qualche ritardo che cambia i nostri programmi, dei piccoli problemi di salute, una pioggia inaspettata… Quindi anche quando siamo belli contenti in vacanza non sempre tutto è perfetto: la felicità è relativa.

Delle volte la felicità è relativa perché alcune relazioni che ci danno calore e affetto durano meno di quanto vorremmo.

Basti pensare ad alcune storie di amore. All’inizio siamo nell’innamoramento e tutto è meraviglioso, ma poi magari la storia finisce e ci sono strascichi dolorosi per entrambi i partner: spesso sta male, pur in modo diverso, sia chi lascia che chi viene lasciato. La felicità è relativa.

Siamo felici, anche se non sempre ne siamo consapevoli, di trascorrere del tempo con i nostri cari. Fa parte della vita, però, che anche queste relazioni non siano eterne. Viene il giorno in cui alcuni nostri parenti o amici stretti ci lasciano improvvisamente per quel viaggio unico e misterioso che è la morte. Siamo stati felici con loro, ma poi il viaggio si è interrotto. La felicità è relativa.

Ogni momento della nostra esistenza contiene zucchero e sale, dolcezza e amarezza, bellezza e disarmonia, ricchezza e povertà, gioia e sofferenza.

L’arte di vivere è quella di volgere il nostro sguardo verso le cose che vanno bene, gli aspetti positivi della nostra vita, della nostra giornata, nel nostro presente, ogni momento.

Non dobbiamo far finta che la sofferenza non ci sia. Non dobbiamo fingere che vada tutto bene anche quando dobbiamo affrontare dei problemi.  No, questo no: è giusto riconoscere il bello e il brutto che ci capita. Il vero peccato è se ci focalizziamo troppo sul negativo e così facendo ci perdiamo tutto il bello che c’è.

O ancora peggio, se guastiamo i momenti positivi perché c’è qualcosa che non va, perché non sono perfetti. Magari osserviamo un tramonto incantevole ma c’è un vento freddo che ci infastidisce. Oppure siamo rilassati sulla sdraio con un bel drink nel nostro giardino ma la ventola del condizionatore del vicino fa rumore e ci disturba.

La vita non è perfetta, la felicità non è mai totale.

Nel mondo reale la perfezione assoluta non esiste. Non siamo in un mondo virtuale dove tutto è “apparentemente” perfetto. Eppure abbiamo la tendenza a volere che tutto sia bello, in ordine e giusto come lo vogliamo noi. E se questo non accade ci sembra di non poter essere felici. Pensiamo che la felicità debba essere assoluta. Ma non è così.

Nel mondo reale la felicità vera è relativa.

Dobbiamo saper stare nell’imperfezione e godere delle cose belle che abbiamo anche se non ci sono solo quelle, perché la vera felicità è relativa!

“Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.”

KHALIL GIBRAN

Alberto


Dott. Alberto Ruffinengo – Counselor Professionista a indirizzo Psicosintetico

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ESSERE DOLCI CON NOI STESSI

Ci sono dei momenti in cui la vita ci mette uno Stop. 

Tutto stava andando in un modo che noi consideravamo “adeguato”, tutto sommato anche positivo, ma poi, improvvisamente, succede qualcosa. 

Una malattia, un incidente, una crisi, un lutto. 

E noi non possiamo o non riusciamo più a fare la vita di prima. 

In genere inizialmente ci accaniamo contro la vita, e contro quello che è successo, perché ci sembrava che tutto stava procedendo bene, e in qualche modo, ci sentivamo forti. Ma quando devi fermarti hai il tempo per pensare, per tirare le fila di quello che è successo, per fare il punto della situazione e allora, invece di chiederti: “Perché propio a me?” puoi chiederti: “Che cosa non andava nella mia vita di prima che mi ha provocato questo Stop?”. 

Non penso che dobbiamo colpevolizzarci quando questo avviene, credo invece che l’anima stia compiendo qui in Terra un percorso evolutivo, e questo tipo di avvenimenti dolorosi servono a farci riprendere contatto con lei.

Personalmente sono da diversi mesi in questa fase di Stop e ho capito che tante, anzi troppe cose, non andavano nella mia vita di prima. 

Ho riflettuto molto e continuo a farlo, e, anche grazie alle visualizzazioni, ho scoperto dei meccanismi simili in molti di noi. Cercherò di spiegarli in modo più semplice possibile.

Nella vita “adulta” ci troviamo a soffocare i desideri e i bisogni della nostra parte bambina, una parte che vorrebbe esprimere i suoi talenti, le sue capacità, la sua gioia e la sua voglia di vivere, ma le sue necessità spesso si scontrano con una vita di doveri, una vita troppo veloce, troppo stressata, poco gioiosa. Allora succede che dentro di noi avviene come una lotta interiore tra due parti, me la immagino come un tiro alla fune: la parte adulta tira con tutta la sua forza da una parte con i doveri (lavoro, palestra, bambini da gestire, casa da putire, pranzi e cene da preparare, ecc. ecc.), la parte bambina tira dall’altra con i suoi bisogni e desideri (giocare, dormire, ballare, stare nella natura, vedere gli amici, desiderio di coccole, massaggi, gelati, creatività…). 

Quando l’Io non riesce a soddisfare le necessità di entrambe le parti, succede che, di solito, la parte adulta prende il sopravvento sull’altra perché ci hanno insegnato che “il dovere viene prima del piacere” e perché stare sdraiati in spiaggia “non paga le bollette”. Allora la parte piccola che desiderava solo essere ascoltata, e almeno un po’ accontentata, mette un blocco, ma un blocco grosso, doloroso, pesante quanto basta per attirare l’attenzione su di lei. Ecco che ci ammaliamo, che ci rompiamo una gamba o un ginocchio, che facciamo un incidente o che subentra una forma di depressione. 

La bambina che desiderava gioia e amore si deve fare sentire con la sofferenza e il dolore perché non siamo stati capaci di darle retta in altro modo. E ora possiamo visualizzare questa bambina come legata a un masso di pietra e la parte adulta tira tira, ma lei non si muove: la parte bambina è ora il nostro corpo che si rifiuta di collaborare. Il suo blocco crea un sintomo più o meno debilitante, per esempio una gamba che non funziona più, o la schiena che ci fa male. 

Ha vinto lei. 

Siamo a letto, in malattia, e ci sentiamo tristi e disperati perché vorremmo tornare attivi, siamo rosi dai sensi di colpa per non essere performanti e difficilmente riusciamo a prenderci cura di questa parte bambina e dialogare con lei. Allora prendiamo farmaci su farmaci e spendiamo soldi e tempo alla ricerca delle terapie che ci diano maggior risultato in minor tempo possibile. Ma, se non ascoltiamo il grido di dolore di quella parte piccola, tutto ciò non servirà a niente perché lei dovrà bloccare ancora di più per attirare la nostra attenzione. 

E allora come possiamo fare? 

Io penso che ciò di cui abbiamo bisogno prima di tutto è di dolcezza. La dolcezza delle carezze della nonna quando eravamo malate, del latte e miele, delle coperte rimboccate, della pezza bagnata sulla fronte. La dolcezza che non è mai abbastanza, perché, se ci pensiamo bene, è proprio quell’essere stati troppo rigidi con noi stessi che ci ha provocato il dolore, lo stop. 

Certo, anche la parte adulta ha le sue ragioni, e “deve” andare avanti, ma è fondamentale che lo faccia piano, tenendo per mano quella parte piccola che “non ne ha voglia”, e cercando di dare ascolto a lei e di accontentarla, ma non solo soffocandola di dolci, di serie tv o di shopping compulsivo. 

Di cosa ha bisogno un bambino quando è in crisi?

Certo se gli compri un gelato, se gli fai un regalo, se lo metti davanti ai cartoni, lo tieni buono per un po’, ma poi ricomincerà la crisi, perché lui ha bisogno della tua attenzione, ha bisogno di coccole, di abbracci, ha bisogno di giocare con te. I dolci, i regali, la tv a lungo andare potranno solo peggiorare il suo stato di salute e il tuo conto in banca. Il nostro bambino o la nostra bambina interiore ha bisogno di amore, di gioco, di divertimento, e ha bisogno di molta, ma molta dolcezza.

Eleonora

Dott.ssa Eleonora Ievolella – Counselor Professionista a indirizzo Psicosintetico

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