Tutti vogliono avere successo.
Alcuni lo dichiarano a gran voce, altri invece fanno finta di non essere interessati.
Ma tutti vogliono avere successo. Tutti cercano la realizzazione.
C’è chi cerca il successo sul lavoro, chi nelle relazioni con l’altro sesso, chi nello sport e chi in altri ambiti prioritari della vita.
Ma perché NON raggiungiamo i nostri obiettivi?
Perché c’è una trappola nel successo: per arrivare ad altissimi livelli in un campo, bisogna lavorare concentrando tutta la nostra energia in quell’ambito.
Già qui l’80% delle persone fa fatica a concentrarsi così strenuamente su un obiettivo e quindi non lo raggiunge e si sente frustrato.
Ma in realtà, anche chi si concentra solo su un obiettivo e lo raggiunge, poi va in crisi.
Perchè?
Perché scopre che c’erano altri ambiti prioritari della sua vita che ha trascurato e che lo fanno soffrire.
La corsa sfrenata verso il successo compromette la nostra salute fisica e mentale. O stiamo male, o siamo stressati. Basta guardarsi intorno per trovare riscontro.
La maggior parte di noi pensa e agisce in modo “disgregato”.
In pratica la nostra mente si sposta velocemente da un ambito all’altro seguendo le nostre emozioni. Come un gatto in un prato che insegue una farfalla: ne vede una volare e cerca di acchiapparla. Poi questa si appoggia su un filo d’erba, lui la perde di vista e poco lontano ne vede un’altra. Allora corre verso la nuova farfalla per prenderla, ma anche questa scompare nell’erba. Poi si alza in volo una terza farfalla e si distrae nuovamente. Sposta la sua attenzione da una farfalla all’altra senza mai arrivare al risultato. Ecco “girotondo del gatto”.
Facciamo degli esempi:
Questi sono i nostri 6 BISOGNI o OBIETTIVI più importanti.
Ho messo in grassetto le emozioni. Ciascuno di essi è influenzato da una emozione. Come sappiamo le emozioni ci muovono da dentro ed hanno un potere così forte che spesso non possiamo fare altro che assecondarle.
Così saltelliamo da un bisogno/ obiettivo all’altro come i gatti che inseguono le farfalle. Ruotiamo in tondo senza fare reali avanzamenti e, alla fine, stiamo sempre piuttosto male.
Come uscire dal “girotondo del gatto”?
Le aree che ho appena descritto sono quelle della torta della vita.
Ne ho fatto anche una rappresentazione grafica grazie gli stickers dei miei figli. Mi piace disegnare e colorare… dare sfogo alla creatività!
La torta della vita rappresenta i principali ambiti che contribuiscono alla nostra felicità, evoluzione e benessere complessivo.
Maggiore è la nostra realizzazione in ciascuna fetta, maggiore è il nostro benessere. Chi è soddisfatto in tutti questi ambiti non sta leggendo questo articolo. Se sei arrivato a questo punto vuol dire che c’è qualcuno di questi ambiti su cui senti il bisogno di lavorare.
C’è però un aspetto fondamentale: non concentrarti solo su un ambito!
Se raggiungi i risultati che desideri in un ambito e trascuri gli altri stai solo piantando i semi della tua sofferenza futura, che nasceranno, proprio dalle aree che stai lasciando in disparte.
Quindi da una parte dobbiamo ‘recuperare’ gli ambiti in cui siamo carenti, dall’altra dobbiamo in qualche modo continuare a nutrire tutte le aree della nostra vita.
Come fare?
Una missione apparentemente impossibile in realtà ha una soluzione semplice: ogni giorno devi compiere una azione per ciascun ambito.
Si tratta quindi di individuare una azione, anche piccola, che puoi fare.
Individua il tuo piano di azioni quotidiane e inizia subito!
Vediamo degli esempi:
Seminando e nutrendo ogni giorno TUTTE le FETTE della “torta della vita” potrai:
Il “nemico pubblico numero 1” di questo approccio si sostanzia nella frase: “Non ho tempo…”.
Potresti dirmi: “Non ho tempo di chiamare un mio familiare o un amico, non ho tempo per fare attività fisica tutti i giorni, non ho tempo per leggere qualche pagina di libro ogni giorno, non ho tempo…”
Sicuramente non è facile trovare il tempo anche per delle piccole e sane abitudini nella nostra vita frenetica. Ci sembra che aggiungere delle piccole azioni alle mille cose che abbiamo da fare ci porti più stress che benefici.
Ma la realtà è diversa: quando iniziamo a fare azioni “positive” per la nostra crescita l’energia che ci torna indietro è maggiore di quella che abbiamo impiegato per metterle in opera.
Dobbiamo sacrificare un po’ di tempo da dedicare a queste attività.
E’ bene ricordare che sacrificare significa “rendere sacro”. Dedicare quindi qualche minuto della nostra giornata a queste abitudini finalizzate al nostro benessere vuol dire, in fin dei conti, dare importanza a noi stessi e agli aspetti più importanti della nostra vita.
Quindi, inizia subito!
Il secondo nemico si chiama “incostanza”!
Come all’inizio dell’anno partiamo con i buoni propositi che durano la sera in cui li scriviamo o le primissime settimane dell’anno, anche in questo caso rischiamo di perdere subito le nostre nuove e sane abitudini.
Ma solo la costanza porta a risultati.
Come fare a essere costanti?
Trovi un buon metodo ben spiegato nell’articolo “SE VUOI MIGLIORARE, LO DEVI MISURARE” (clicca qui per leggerlo), che trae spunto dal libro “Le 4 discipline dell’execution” (clicca qui per acquistarlo su Amazon), prova a dargli un’occhiata e poi fammi sapere se ti è servito!
Buona evoluzione,
Alberto
Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per cosi dire morto; i suoi occhi sono spenti.
(Albert Einstein)
Tutti noi conosciamo le 6 emozioni principali che hanno garantito la nostra sopravvivenza e ci hanno spinto verso l’evoluzione.
La gioia, la rabbia, la tristezza, il disgusto, la paura, la sorpresa ci hanno permesso di essere qui oggi sopravvivendo a animali feroci, catastrofi naturali e pestilenze di ogni tipo.
Ma tra tutte queste ce n’è una che viene spesso trascurata nonostante il suo potere vitale.
Questa è la “sorpresa”.
Mi piace chiamarla anche “meraviglia”.
Tre settimane fa ero a cena con mio nipote tornato da Venezia e mi ha detto: “Zio, vuoi vedere un gioco di magia?”.
Io: “Certo…”.
A Venezia aveva trovato un negozio segreto dal nome inequivocabile “TuttoMagia” e si era portato a casa un mazzo e un gioco, appunto, di magia.
Lui ha mischiato le carte e me ne ha fatta scegliere una (era un 7 di cuori).
Senza guardarla me l’ha fatta rimettere nel mazzo.
Lui le ha manipolate un po’ e… TA-DAAN, ecco il mio 7 di cuori che, non so come, sbuca fuori dal mazzo di 52 carte…
Per un attimo la meraviglia, lo stupore, la sorpresa si sono impossessati di me lasciandomi senza parole e attonito di fronte a quanto accaduto.
Un misto di gioia, vita e mistero mi hanno avvolto.
In quel momento ero completamente presente, mi sentivo vivo e coinvolto in quello che stava succedendo, al 100%.
Quello è il potere della “meraviglia”.
Ognuno di noi ha una reazione immediata di fronte alla parola “sorpresa” che può essere di due tipi: qual è il tuo?
Per loro la sorpresa è una sensazione di piacere, come qualcosa di bello che non ti aspetti. Ti piove dal cielo come un regalo. Per i “Babbi Natale” la sorpresa non può che essere qualcosa di positivo che quando ti capita ti riempie il cuore di gioia. La sorpresa è eccitante, adrenalinica, incantevole. Questo approccio appartiene agli ottimisti, alle persone fortunate che hanno avuto una vita serena o alle persone piene di fiducia nella vita e nel futuro.
Per i “Paperini” la sorpresa è tipicamente “una sfiga”, qualcosa di negativo, tipo una multa sul parabrezza, uno specchietto della macchina rotto, una raccomandata che ti arriva a casa con una sanzione o tassa da pagare. Oppure la telefonata del partner che ti comunica che ti lascia, o di un familiare che ha avuto un incidente ed è all’ospedale… tutte cose reali che possono capitare, e sono capitate, a ognuno di noi… ma che per i “Paperini” sono la prima e l’unica associazione mentale alla parola sorpresa.
Cosa fa un programma informatico o un robot? Le stesse cose in modo sempre uguale in base a come è programmato.
Come si chiama il sentimento del ripetere sempre le stesse cose?
Noia.
Quando diciamo ai nostri figli o a qualcuno: “Devo ripeterti sempre le stesse cose…” stiamo comunicando gioia o frustrazione?
Conoscere esattamente come è il nostro futuro se da una parte soddisfa il nostro bisogno di “avere il controllo” in realtà ci priva contemporaneamente della gioia di vivere.
La vita è scoperta.
La vita è meraviglia.
La vita è un fiore che scorgiamo tutto d’un tratto in mezzo a un prato verde.
La vita è un incontro inaspettato.
La vita è conoscere per caso una persona di cui ci innamoriamo.
La vita è una frase gentile detta da una persona che ci commuove.
La vita è…
Il rimanere incinta è una sorpresa, la nascita di un bambino, il suo carattere, il suo aspetto fisico, anche il suo sesso è una sorpresa! In realtà, anche il momento della morte è una sorpresa: chi di noi sa in anticipo il momento esatto in cui morirà?
La sorpresa è il trait d’union di tutta la nostra vita, dalla nascita alla morte.
Le novità, le cose nuove, la casa nuova, l’auto nuova, o un modo nuovo di fare qualcosa di vecchio: questa è la sorpresa.
Un po’ di tempo fa ho incontrato un mio amico che era contento perché aveva cambiato lavoro.
Gli ho chiesto: “Cosa ti rende felice di questa nuova opportunità lavorativa?”.
“Dopo tanto tempo, sto facendo cose nuove…” è stata la sua risposta.
La sorpresa e la comicità:
Il segreto dell’umorismo è la sorpresa.
(Aristotele)
La sorpresa e il calcio:
A volte sorprendi il portiere, altre volte è il portiere che ti sorprende. Nella mia carriera ho cercato di fare in modo che il primo caso prevalesse sul secondo.
(Eric Cantona)
L’altro giorno stavo partecipando a un corso di formazione della Banca sulla comunicazione.
Ero in smart working a casa.
Luce, mia figlia di 5 anni, non era ancora andata all’asilo.
La docente ha parlato delle emozioni e della loro importanza nella comunicazione.
Luce ha sentito. Un minuto dopo si è presentata vicino a me con un disco di cartone colorato.
Ci ho messo qualche secondo a mettere a fuoco l’oggetto: era la “ruota delle emozioni”. L’avevamo fatta insieme cinque mesi prima.
Ero diventato pazzo per trovare i “fermacampioni”: dei ferretti comuni ai tempi in cui ero bambino io, ora praticamente spariti. Spariti come gli artigiani, i micro-negozi di alimentari, le cartolerie, le piccole librerie, i ferramenta, i negozi di dischi e quelli di fumetti.
I fermacampioni sono come dei chiodi con la testa molto larga che, al posto di un’unica punta in ferro, hanno due ferretti molto flessibili che si aprono a libro. Con quelli puoi tenere uniti due fogli di carta e permettergli di scorrere uno sull’altro.
Con i fermacampioni, due fogli di carta, un cartone riciclato dai pacchi di Amazon, un po’ di colla, i pennarelli e tanta buona volontà siamo riusciti a costruire la ruota. Anzi due: una per Luce e una per suo fratello Lorenzo di 9 anni.
Ho usato questo esercizio per spiegargli un po’ il mondo delle emozioni.
Sono partito dalle 6 emozioni primarie così come individuate da Paul Ekman. Sono quelle che insegno ai miei corsi sulle Emozioni perché universali, facilmente comprensibili e riconoscibili nella vita di tutti i giorni.
Gli ho chiesto di disegnare un cerchio sul foglio bianco e di dividerlo in 6 spicchi.
Poi hanno colorato gli spicchi di giallo, azzurro, verde, rosso, arancione e nero. In ogni spicchio hanno incollato una “emoticon” che rappresenta una emozione. La gioia nel giallo, la rabbia nel rosso, il disgusto nel verde, la tristezza nell’azzurro, la sorpresa nell’arancione e la paura nel nero.
Infine hanno ritagliato una freccia di cartone. Abbiamo poi fatto un buchino in mezzo al disco colorato e alla freccia e li abbiamo fissati insieme con un fermacampione. Ecco fatto, la “ruota delle emozioni” era pronta.
Ogni tanto gli chiedo di farmi vedere che emozione stanno vivendo e loro si divertono a spostare la freccia in base a quello che accade: prima “giallo – gioia”, poi se il cibo che gli ho dato non gli piace la freccia si sposta subito sul “rosso – rabbia”…
Da piccolo NON mi avevano insegnato cosa sono le emozioni.
Anzi, come probabilmente è successo a tanti, mi hanno addirittura insegnato a reprimerle.
Allora via la tristezza quando ci si fa male (“Ma dai, non è successo niente! Tra poco il dolore ti passa, smettila di piangere!”), via la rabbia (“Ubbidisci senza lamentarti! Non urlare e fai come ti ho detto!”), via la paura (“Dai buttati! Gli uomini non hanno paura!”) e via anche il disgusto (“Mangialo, anche se non ti piace, ti fa bene!”). Che la sorpresa fosse una emozione l’ho scoperto quando mi sono messo a studiare le emozioni. L’unica emozione concessa era la gioia… ad averne!!!
Anche se le neghiamo, però, le emozioni esistono lo stesso. Inoltre, quando sono represse le emozioni assumono una forma ancora più dirompente: escono all’improvviso e non riesci a controllarle. Pensa alla rabbia non espressa che, dopo essere stata compressa, si esprime in modo violento. Oppure alla paura non riconosciuta che si trasforma in stress, ansia, fino ad arrivare agli attacchi di panico.
Un percorso di “alfabetizzazione emotiva” che spiega le emozioni e soprattutto il loro senso evoluzionistico per me è fondamentale.
E quale età migliore per avvicinarsi alle emozioni se non quando si è bambini?
Sono stato molto contento quando Luce, appena sentito l’argomento emozioni, ha ‘ripescato’ in mezzo a tutti i suoi giochi la ruota delle emozioni fatta mesi prima. Parlando di emozioni devo specificare che prima della gioia, c’è stata la sorpresa, l’emozione più breve di tutte!
L’episodio mi ha suggerito che tutti gli investimenti fatti sui bambini alla fine ritornano. E visti tutti i sacrifici che i genitori fanno per i figli, è bello vedere qualche riscontro.
Un suggerimento che voglio darti, caro il mio “evolutivo” che stai leggendo, è quello di approfondire il tema delle emozioni anche se da piccolo non te le hanno spiegate… Puoi leggere dei libri sull’argomento, partecipare a dei corsi o approfondirle in un percorso di crescita personale: scegli la via che preferisci!
Non è mai troppo tardi per scoprire i doni nascosti nelle nostre emozioni, e se vogliamo stare bene, è utile farlo!
“A volte le parole non bastano.
Alessandro Baricco
E allora servono i colori.
E le forme.
E le note.
E le emozioni.”
Anche dopo aver raggiunto la meta, non puoi smettere di praticare
Eisai Myoan
Scrivere mi permette di condividere alcune pratiche o pensieri che ho sperimentato in prima persona e che possono essere utili anche ad altri.
Grazie a questa condivisione chi legge può risuonare con alcune pratiche e trarre l’energia per attivarle anche nella sua vita ricavandone beneficio.
Quando questo accade ho raggiunto il mio scopo: aiutare gli altri a stare meglio.
Per questo ho deciso che in questo post di fine 2022 e di inizio 2023 condividerò 3 pratiche quotidiane che quest’anno mi hanno portato un maggior benessere.
In sintesi sono: SONNO, MOVIMENTO e DOCCE FREDDE (e quest’ultima spiega la foto del post, leggi fino in fondo…).
Vediamo il perché di ciascuna pratica e come l’ho “messa in opera”.
1 – SONNO
Tutti noi dormiamo, da sempre, e così fanno anche tutti gli esseri viventi. Sul perché abbiamo quest’abitudine, però, non sappiamo molto.
Quante volte ci siamo domandati: “Non sarebbe meglio ‘non dormire’ e dedicarci a 1.000 e 1.000 attività in più?”. Oppure “Non è che sprechiamo troppo tempo dormendo?”.
Ho trovato la risposta alla necessità – e ai benefici – del sonno in un libro meraviglioso: “Perché dormiamo”, di Matthew Walker (se ti interessa il libro clicca qui).
Seguirà un post dedicato, ma quello che voglio trasmetterti da subito è che:
Il libro di Walker, piuttosto lunghetto (ca. 490 pagine), documenta con esperimenti scientifici tutto quello che afferma ed è anche piacevole alla lettura.
Visti i benefici documentati ho deciso di porre più attenzione al sonno nella mia vita.
E come ho ‘implementato’ questa pratica – dormire tra le 7/8 ore al giorno – nella vita quotidiana?
Per costruire una abitudine nella nostra vita dobbiamo misurarla (vedi il post: “Se vuoi migliorare lo devi misurare”). Quindi dovevo misurare quanto dormivo ogni notte.
Per farlo oggi ci sono moltissimi modi: ci sono applicazioni specifiche che si possono scaricare sul proprio cellulare, ci sono orologi digitali e braccialetti ‘smart band’ che misurano il sonno. Le applicazioni del cellulare non mi piacciono perché mi scaricano la batteria e non vado pazzo per avere un cellulare attivo vicino al letto tutta la notte. Gli orologi e le smart band mi danno fastidio mentre dormo.
Allora come fare?
Alla fine ho trovato una soluzione che per me è meno invasiva: è un anello “tecnologico” che ha dei sensori che misurano in modo molto accurato il sonno, la temperatura, le fasi del sonno, il battito cardiaco, il respiro, l’ossigenazione del sangue ed altri indicatori. Grazie a questo anello, che si allinea con una app sul cellulare appena mi sveglio, so tutte le mattine quanto ho dormito la notte precedente, la qualità del sonno e il mio grado di “Prontezza” del giorno (per chi fosse interessato si chiama OURA RING, se vuoi saperne di più clicca qui).
Scegli pure il tuo sistema per monitorare il sonno, ma da stanotte cerca di dormire almeno 7-8 ore!
2 – MOVIMENTO
Ogni giorno è importante muoversi.
Siccome non so esattamente quanto movimento farò oggi (passi, allenamenti, …), mi sono messo a fare degli esercizi fissi tutte le mattine.
Certo, poi c’è il mio sport, il “water basket”, che faccio due volte a settimana, qualche partita a calcetto una volta al mese, qualche corsetta e un po’ di camminatine… ma la vera costante del mio ‘movimento’ sono gli esercizi mattutini che faccio – e posso fare autonomamente – ogni giorno.
Io faccio piegamenti sulle braccia, plank e addominali fino a raggiungere il mio limite, e alla fine, per sciogliere il corpo, “i 5 Tibetani”. Questa serie di esercizi mi prende circa 20 minuti e li faccio prima di fare colazione e di andare a lavorare.
Fare allenamento stimola specifici ormoni in noi, in particolare ricordiamo fra i principali:
Quanto deve durare l’allenamento?
Studi indicano che per gli anziani sono sufficienti 10 minuti, per gli altri 20-30 minuti al giorno vanno bene. Ora, scegli gli esercizi che preferisci, in base alla tua forma fisica e alla tua predisposizione, inizia gradualmente ma fai un po’ di movimento tutti i giorni!
3 – DOCCE FREDDE
Un’altra pratica che ho iniziato quest’anno è quella delle docce fredde. Sono partito a fine giugno, ma ho scelto convenzionalmente la data del 1° luglio per contarle. Ogni giorno faccio una doccia fredda (dopo gli esercizi scritti sopra).
Ho iniziato dopo che questa estate ho letto il libro “Il metodo del ghiaccio”, di Wim Hof (se ti interessa clicca qui).
E’ un libro autobiografico, dove Wim racconta della sua esperienza con il freddo, le volte che ha rischiato la vita e i benefici che il freddo ha avuto sul suo corpo e sul suo benessere in generale.
In particolare, l’esposizione al freddo, e le docce fredde, hanno importanti effetti sul nostro corpo. Riassumo con una sintesi estrema alcuni benefici delle docce fredde (per approfondimenti scriverò un post dedicato, se sei interessato puoi leggere il libro o fare delle ricerche su internet):
Su internet trovi elencati anche altri vantaggi: pelle migliore perché l’acqua fredda non secca il sebo, maggior scioglimento del grasso bruno, rafforzamento di cute e capelli (lì purtroppo – non avendoli più – non ho visto miglioramenti!).
A luglio ho anche deciso che il 1° gennaio del 2023 avrei fatto il bagno nel lago di Garda unendomi ad un gruppo di persone che lo fa tutti gli anni il primo giorno dell’anno (dicono che è benaugurante!).
Dal 1° luglio ad oggi sono quindi 184 giorni che faccio docce fredde, tutte le mattine e dopo gli allenamenti. Non ho più fatto una doccia calda (e ora la sopporterei a fatica…). In questi 6 mesi mi sono ammalato una volta per quattro giorni (di cui 2 con febbre alta).
Come ho iniziato?
All’inizio facevo la solita doccia e alla fine bagnavo con l’acqua fredda solo alcune parti del corpo. Poi doccia normale e, alla fine, per pochi secondi sotto l’acqua completamente fredda. Poi pian piano ho allungato il tempo della parte di doccia con acqua fredda. Negli ultimi mesi sono passato a fare direttamente tutta la doccia fredda – compresa l’insaponatura! – senza azionare mai la calda (e sono ancora vivo!). Le parti più “shokkanti” ogni mattina è quando bagni la schiena e la testa, ma questa la bagno poco perchè l’acqua fredda non fa bene alla testa.
Il primo effetto che ho notato è che sono meno freddoloso di prima.
Certo, iniziare d’estate può aiutare, ma quando ti sentirai pronto, inizia anche tu, i benefici non stenteranno ad arrivare!
P.S.
Come mi ero ripromesso, alla fine oggi 1° gennaio 2023 sono andato al lago, a Brenzone sul Garda a fare il tuffo nel lago. Sono stato fortunato perchè la temperatura era abbastanza mite (12° gradi esterni, temperatura dell’acqua di ca. 11°…). Alle 14:00 c’era anche un po’ di sole. Sulla spiaggia intorno alle 15:00, ora prevista per il tuffo, eravamo più di 70.
3, 2, 1… VIA alle 15:10 ci siamo buttati nel Lago!
L’acqua era fredda, ma all’inizio sopportabile (non ho messo la testa in acqua). Dopo pochissimi minuti però sembrava di essere in un secchio di ghiaccio: con i piedi ibernati e il corpo gelido sono uscito. Post immersione fuori l’aria sembrava calda, così ne ho approfittato per fare un secondo veloce bagnetto!
Poi asciugatura rapida, vestizione, thè caldo e panettone per tutti!
Anche dopo aver raggiunto la meta, non puoi smettere di praticare
Eisai Myoan
È un periodo che ho mille acciacchi, sarà più di un mese. E faccio fatica a riprendermi. Ciò che peggiora le cose è il giudizio, più mi giudico perché non sono in forma, più ci metto a guarire. Viviamo nell’era dell’efficienza, e stare male è un problema, è anche una cosa un po’ di cui vergognarsi. Quasi nessuno si permette di stare a letto a recuperare le forze, ma si prendono mille medicine per riuscire a riprendere subito la vita normale.
Perché bisogna riprendersi subito? Perché altrimenti si perdono soldi, si perdono occasioni sociali, si perde tempo. E soprattutto perché ci giudichiamo, se non siamo efficienti ci giudichiamo, cerchiamo di sopprimerne le emozioni negative e così gli stati di malessere. Ma il nostro corpo si ammala perché ha bisogno di comunicare con noi, ci vuole dire che qualcosa non va, che abbiamo tirato troppo, che non siamo stati capaci di fermarci quando eravamo ancora in tempo, che non abbiamo saputo proteggerci o mettere limiti. Alle volte si ammala perché chiediamo troppo a noi stessi e non sappiamo delegare, non sappiamo chiedere aiuto, o perché non abbiamo ascoltato la nostra parte piccola che aveva esigenze diverse da quelle della nostra parte adulta.
Ma cosa ci sta chiedendo il nostro corpo che non sta bene?
Innanzi tutto ci sta chiedendo attenzione, ci sta chiedendo amore, e accettazione.
Quando non sto bene tendenzialmente mi do addosso, mi dico che sono una schiappa, una sfigata, una debole. E così ovviamente non mi sto amando, non mi sto prendendo cura di me stessa, sto scagliando, come dicono i buddisti, la seconda freccia. La prima freccia è la malattia: già avere il corpo fuori forma è di per se una sofferenza, se poi mi maltratto nel vero senso della parola, cioè mi tratto male dandomi addosso, sto scagliando la seconda freccia.
Poi l’altra mia dinamica è quella di iniziare a voler capire con la mente: se mi sono ammalata c’è un motivo, ci sono delle spiegazioni spirituali, devo imparare qualcosa. In questo modo, camuffato da lavoro personale c’è ancora una volta un non amore di sè. In qualche modo mi sto dando la colpa perché non sono abbastanza evoluta, se fossi più evoluta sarei stata capace di mettere i limiti, di chiedere aiuto, di non farmi ‘asciugare’.
A volte elucubrare troppe spiegazioni non serve a nulla.
Allora l’altro giorno ho capito che non dovevo fare nulla, proprio nulla, non dovevo forzare le cose, ma stare con quello che c’era. Ciò di cui avevo bisogno era solo amore e presenza, se mi sdraiavo a letto e riuscivo a sentire uno spazio di amore intorno a me e al mio corpo, ecco lì c’era la risposta che stavo cercando. Darmi amore. Come una mamma o una nonna amorevole che ti accarezza i capelli, che ti fa le coccole, che ti mette una pezza bagnata sulla fronte.
Arrivare ad amarci in modo incondizionato, questo forse è l’insegnamento più importante, amare noi e gli altri.
Ma prima noi stessi.
Se mi amo e mi accetto così come sono, in ogni momento, in ogni condizione fisica, con ogni emozione, ecco solo allora portò accettare gli altri, le loro sofferenze, le loro debolezze. Questo amore incondizionato verso di noi si conquista a fatica, un passetto alla volta, cadendo dieci volte e rialzandosi undici, accettando anche che non sempre abbiamo la consapevolezza e la presenza mentale per amarci. Ma quando ci accorgiamo che non ci stiamo amando è importante fermarsi, respirare e cercare dentro di noi quella pace che solo l’amore incondizionato ci può dare.
“Il mio fare consisterà nell’essere”
Hetty Hillesum
Quando si parla di codice io penso a quello della catena della bicicletta che mi sono dimenticato (e ora non riesco più a togliere la catena dal manubrio…).
In genere quando si sente “codici” ci viene in mente il codice “PIN” del Bancomat, del cellulare o computer, o le centinaia di password che ormai ognuno di noi si deve ricordare per l’accesso ai siti internet dove siamo registrati, alle App e alle caselle di posta elettronica…
Agli amanti dei libri gialli – e dei film – la parola “codice” riporta immediatamente a “da Vinci”: “Il codice da Vinci”, Dan Brown, circa 85 milioni di copie del libro vendute e 760 milioni di dollari incassati dal film.
Il libro “Il codice dell’anima” di James Hillman non c’entra niente con tutto quello che ho scritto sopra ed è uno dei più “rivelatori” che ho letto quest’anno (e negli ultimi anni).
Hillman, psicanalista – saggista – filosofo, aveva conosciuto Jung, e divenne anche Director of Studies al C.G. Jung Institute in Svizzera dopo essersi diplomato con summa cum laude all’Università di Zurigo. Ha scritto numerosi saggi e libri, ed io ho letto il suo più famoso, “Il codice dell’anima” appunto, che ha scritto nel 1996, e nel quale traspare tutta la sua preparazione psicologica – filosofica e sociologica.
Da questo ho tratto 3 (s)punti che voglio condividere con te perché sono come dei flash, degli stimoli potentissimi, che possono aiutarci a cambiare il nostro modo di vivere la vita fin da subito.
Andiamo con ordine, ecco i tre spunti:
Con questo post non voglio riassumere il libro, piuttosto gettare dei semi per stimolarti a leggerlo (qualora non lo avessi ancora fatto…) in modo che anche tu possa trarne quel “nutrimento” spirituale che ho ricevuto io.
Ognuno di noi nasce con una vita ‘corporale’ che noi tutti ben conosciamo (aspetto esteriore, viso, corpo) e che comprende anche la mente, la razionalità, il ragionamento, … + una ghianda in nuce che in qualche modo deve dispiegarsi, aprirsi al mondo, ‘discendere’ nel mondo, e che è la nostra vocazione.
Questa ghianda, chiamata anche “daimon”, in realtà però è come se vivesse di vita propria, in noi e fuori da noi, giacchè è una parte spirituale, fuori quindi dalla nostra corporalità, ma che è a noi legata. E a noi, parte corporale, chiede espressione.
Da qui una sorta di conflitto, negazione, perché la parte corporale da una parte fa fatica a vederla e riconoscerla, dall’altra si guarda bene dal cederle il controllo…
Ma senza il daimon anche la parte corporale fa poca strada, perché è legata a doppia mandata con il daimon che è sceso nel mondo insieme a noi e necessita di essere manifestato.
Finchè non si esprime il daimon, la parte corporale vaga in una terra priva di realizzazione e sperimenta il vuoto a livello profondo, in maniera più o meno consapevole. La sensazione di “mancata realizzazione” è strettamente collegata alla mancata espressione del daimon. Anche la necessità di continue distrazioni è legata ad una ghianda non ancora dischiusa.
Per trovare la nostra vocazione dobbiamo ricontattare il mistero.
Nella mia vita spesso sono andato alla ricerca di qualcosa che non sapevo cos’era.
E non sapendolo ho poi perso un po’ l’abitudine a frequentare quel posto, quell’altrove, che non ha un senso razionale per esistere, ma forse ha più senso di tante cose banali e scontate che facciamo tutti i giorni.
In particolare mi ricordo che mentre frequentavo l’Università, finito di studiare e di fare le attività ‘necessarie’ alla vita, alle 23:00 di notte prendevo la Vespa e andavo alla passeggiata di Nervi, a Genova, a vedere il mare.
Andavo da solo, non avevo appuntamenti se non con me stesso.
Non so cosa cercassi, non lo so ancora adesso che sono passati 20 anni, ma quelle uscite avevano (ed hanno) un senso, pur non spiegabile a parole.
Il mistero ci rimette in contatto con tutta la nostra parte ‘sensibile’ e ultra-sensibile (oltre i 5 sensi), le nostre poesie, il nostro vagabondare senza meta, la nostra contemplazione della natura e del silenzio, le fotografie che scattiamo a qualcosa che ci colpisce e improvvisamente diviene ‘urgente’…
Forse lì, da qualche parte, in quel mistero, c’è la nostra ghianda, il nostro daimon. Forse è lui che cerchiamo nei nostri vagabondaggi notturni, che proviamo a esprimere in versi, che tentiamo di scorgere nella contemplazione della natura o di immortalare con le foto dei nostri cellulari… quell’invisibile che è dentro o vicino a noi.
Il libro di Hillman è costellato di biografie, di storie di persone e personaggi realmente esistiti (viene anche citato Quentin Tarantino insieme al torero Manolete, qualche Presidente degli Stati Uniti, Hitler quando analizza “il cattivo seme” e decine di altri). Le loro biografie vengono analizzate non tanto per cogliere gli aspetti razionali legati alla parte della vita ‘corporale’ (vedi punto 1), ma per ricercare la loro vocazione, cercando di desumere e riconoscere la parte legata alla ghianda, al daimon, che in qualche modo è riuscita a trovare espressione in quelle vite. Spesso le analisi portano a vedere come questa vocazione si manifestava già fin da bambini, in modo completo, con una presenza che era già totale, non necessitava di sviluppo alcuno.
Il daimon è già completo quando nasciamo, gli manca solo la manifestazione.
Ma non sono solo le biografie dei personaggi raccontati che hanno manifestato il loro daimon che sono “importanti”.
Ognuno di noi, con la sua unicità, è uguale agli altri (in quanto essere unico portatore di un suo specifico daimon) e diverso da tutti gli altri (giacchè la vocazione di ciascuno di noi è personalissima e che richiede una sua espressione unica). Non esiste quindi la mediocrità, l’essere mediocri, lo svolgere un lavoro mediocre, …
Ognuno di noi, con la sua biografia, con le sue caratteristiche e il suo carattere, è unico, originale ed esprime e può esprimere sempre più il suo carattere e la sua vocazione in questa presenza terrena.
Una cosa che va detta subito e con onestà è che il libro non dà indicazioni su come trovare il proprio daimon, come dischiudere la propria ghianda, come trovare la propria vocazione: non è uno di quei libri di auto-aiuto che fornisce tecniche e suggerimenti utili per realizzare un obiettivo. Ma se devo essere sincero non avevo questa aspettativa, e penso che metterci in contatto con la nostra parte legata al mistero, farcelo riassaporare, valga più di qualsiasi ‘esercizietto’ per trovare un qualcosa che non va neanche chiesto alla nostra parte cosciente.
Il codice dell’anima porta nella nostra vita qualcosa che molti di noi hanno perso, che io avevo un po’ perso, una fiducia in quegli aspetti di noi più misteriosi, meno definibili e raccontabili, che non necessitano di essere narrati ma solo espressi, parti di noi a cui è importante riconnettersi, invisibili ma altrettanto fondamentali per la nostra sopravvivenza come il bere, il dormire e il mangiare.
Quello che possiamo chiamare: “il nutrimento per la nostra anima”.
“Ci sono più cose nella vita di ogni uomo di quante ne ammettano le nostre teorie su di essa”.
James Hillman
L’immagine del post è tratta da internet ed è opera di Giuseppe Arigliano (1917 – 1999): “Veduta notturna dalla passeggiata di Nervi al chiaro di luna”