Dentro di noi vive un bambino o una bambina ferita e impaurita. Quando cresciamo questa parte viene “chiusa in cantina” e la parte adulta si fa strada nel mondo. Si studia, si cresce, si inizia a lavorare, si conoscono i primi amori.
Quella piccola parte però ha bisogno di essere vista e ascoltata, non vuole rimanere chiusa in cantina. Allora per attirare la nostra attenzione ci provoca delle somatizzazioni come mal di testa, colite, gastrite, mal di gola, insonnia. Sono modi per ricordaci che esiste anche lei. Più noi la ignoriamo più la somatizzazione si fa sentire. A lungo andare potrebbe sfociare in una malattia. Oppure il suo farsi sentire può venire fuori con emozioni forti che non riusciamo a controllare, come la paura, l’ansia, la rabbia, il panico. Certe volte fila tutto liscio fino a che non emerge un evento scatenante che la fa uscire improvvisamente dal nascondiglio in cantina. Potrebbe essere un relazione d’amore, un lutto, una separazione, una malattia.
Quel bambino o quella bambina escono urlando e piangendo, e noi, che non ce ne siamo occupati per tanto tempo, non sappiamo come affrontare quel dolore. Ma di cosa ha bisogno questa parte di noi?
Ha bisogno principalmente di amore.
Amore da parte nostra e da parte degli altri.
Di relazioni significative, di creatività, di gioco, di divertimento.
Ha bisogno di essere ascoltata e di parlare con noi.
Ma come possiamo parlare con la nostra parte piccola?
Un modo che per me funziona bene è quello di scrivere: prima puoi scrivere tutto quello che ti passa per la mente, per svuotare un po’ la mente, poi puoi provare a farle delle domande e chiederle di cosa ha bisogno, puoi chiederle cosa puoi fare per darle amore e renderla felice.
Ci sono situazioni in cui è ancora più difficile prendersi cura di quella piccola parte, per esempio quando usciamo dalla nostra zona di comfort, durante un viaggio, un lavoro nuovo, una relazione nuova.
Oppure quando dobbiamo, noi per primi, prenderci cura di un figlio, o di un parente malato. Allora avremo una parte nostra terrorizzata, la parte piccola appunto, e in più la persona bisognosa da accudire… questo può metterci in grossa difficoltà. In realtà, quando ci prendiamo cura con amore degli altri, ci stiamo indirettamente prendendo cura anche della nostra parte piccola perché l’amore messo in circolo guarisce le ferite. Anche condividere col cuore aperto le nostre emozioni con qualcuno può esserci di aiuto.
Tempo fa ho letto un libro molto interessante “Il potere della Kabbalh” di Yeuda Berg: in un passo si parla di affrontare le nostre difficoltà agendo con amore invece che “reagendo” alle situazioni. Se riusciamo ad affrontare le nostre paure, e non scappiamo da esse, riusciamo a fare “entrare più luce”, ci avviciniamo quindi a un maggiore benessere psicospirituale. Vuol dire che se io sto con le mie emozioni invece di scappare, e riesco a tenere al mio fianco quel bambino o quella bambina impaurita, riuscirò a crescere e mi avvicinerò un po’ alla luce. Mi attirerò quindi anche eventi più favorevoli e la vita mi darà dei doni.
Nel mio cammino evolutivo, ogni volta che ho affrontato una crisi, ho poi avuto dei regali enormi dalla vita. Mentre attraversavo la crisi non vedevo certo la luce in fondo al tunnel. Affrontare una crisi, di qualsiasi tipo, significa prendere per mano quel bambino o quella bambina e tenerla con noi mentre camminiamo, anziché chiuderla in cantina. Certo il passo dovrà essere più lento, un bambino cammina piano, ma a poco a poco potremmo iniziare ad avanzare più velocemente e poi correre verso la luce!
Eleonora
Questo anno e mezzo di pandemia ha creato un tale scombussolamento nella nostra vita che la tendenza è diventata quella di sopravvivere anziché vivere.
Quando si sopravvive una delle prime cose che si tende a fare è mettere da parte i nostri sogni.
Si compiono le azioni quotidiane con poco entusiasmo: lavoro, casa, figli.
Non siamo più abituati a viaggiare, né a fare una cena fuori, né feste con gli amici.
La sensazione è quella di dover cominciare a vivere di nuovo, un ripartire da zero, e le cose che una vota ci sembravano semplici ora ci sembrano faticose, ogni cosa equivale a uscire dalla zona di comfort perché la zona di comfort è diventata starsene chiusi in casa e rinunciare al “sale della vita”.
Sopravvivere però non è ciò che siamo chiamati a fare, ognuno ha, qui sulla terra, il suo piccolo grande compito da svolgere, la sua evoluzione da compiere, il suo segno da lasciare.
Esprimere la propria unicità, aiutare gli altri, creare qualcosa di nuovo.
Ognuno di noi ha dei sogni, degli obiettivi, una piccola grande missione.
Ognuno di noi ha dentro quel bambino o quella bambina interiore che aveva dei desideri da realizzare, che sognava “in grande”.
L’altro giorno ero al parcogiochi con i bambini, mio marito e degli amici. Una cara amica aveva comprato i rollerblade per suo figlio di 8 anni che li ha messi per la prima volta e, attaccato alla ringhiera, faceva i suoi primi passi. Le ho raccontato di come dieci anni fa andavo anch’io sui roller e di come pattinare sia uno degli sport che mi è sempre piaciuto, nonostante sia una tipa poco sportiva. Quando il bambino ha tolto i pattini, la mia amica mi ha chiesto se volevo provarli (il numero infatti poteva passare da un 35 a un 37)… dopo qualche titubanza me li sono messi, e aggrappata alla mia amica, ho fatto i primi giretti. Una strana gioia mi ha pervaso tutto il corpo… mi sentivo impedita, i pattini erano un po’ stretti e il terreno non adatto, ma la mia parte bambina ha cominciato a gioire. Quel giorno ero stanca e apatica, come spesso avviene da un anno a questa parte, ma con i pattini addosso la mia energia è salita immediatamente come se mi fossi attaccata a una presa di ricarica.
E lì ho capito!
Ho capito che la noia e l’apatia, la tristezza vengono dal fatto che non giochiamo più, non facciamo felice la nostra parte bambina. Io molte volte non so nemmeno cosa fare per renderla felice tanto sono occupata con “il resto”.
I bambini giocano, i bambini sognano.
Gli adulti che fanno un lavoro che li appassiona è come se giocassero, sono adulti soddisfatti che hanno esaudito i sogni del loro bambino interiore. Chi riesce a vedere gli amici, e giocare come quando era piccolo, che sia calcio, pallanuoto, basket, è ancora felice.
Ci sono desideri che “spingono” da dentro, che abbiamo paura di esaudire perché siamo troppo abituati a essere “adulti seri e responsabili”.
In questo periodo poi ogni sogno è stato rubato, la paura è stata l’emozione dominante, e i rapporti resi più freddi da distanziamenti e mascherine.
Ieri stavo leggendo un bel libro di Claudia Renville “Apri la porta all’abbondanza” e ho trovato un esercizio molto utile per aiutarci a ricontattare i nostri desideri perduti.
Rispondi di getto a queste domande:
Che cosa vorresti realizzare nella tua vita?
Che cosa faresti se ti rimanesse soltanto un anno di vita?
Che cosa vorresti che fosse scritto sulla tua tomba?
Che cosa vorresti lasciare in eredità a questo mondo?
Proviamo giorno dopo giorno a dialogare con il nostro bambino interiore e cerchiamo di ridagli gioia e fiducia!
L’altro giorno sono andata a prendere il sole alla spiaggiata sull’Adige, la mia ora d’aria mentre i bambini erano al parco giochi con la babysitter. Non ero di grande umore, non è un periodo facile questo, però mi godevo il sole di primavera e la brezza che saliva dal fiume. A un certo punto è scesa lì vicino una donna con due bambini piccoli che avranno avuto due e tre anni circa, in più era incinta, penso verso il quinto mese. “Cavoli che fatica”, penso “ con due bimbi piccoli, magari rimasti a casa dall’asilo per tutta la settimana perché siamo in zona rossa, in più incinta!”. Avrei voluto fare due chiacchiere, anche perchè so, per esperienza personale, che le mamme hanno bisogno di rapportarsi anche con degli adulti, con altre mamme, di sentire che non sono sempre da sole loro con i bambini. Però non riuscivo a trovare qualcosa da dire per attaccare discorso perché era molto chiusa, non guardava mai in giro, scambiava qualche parola con i bambini e stop. A un certo punto tira fuori una merenda e uno dei piccoli si sporca, allora lei inizia a dargli addosso: “ Ma possibile che ti sporchi sempre? Questa macchia non viene più viaaaaa…. ma non è possibile!”. Il bambino, occhi bassi, si scusa. Poi riprendono a giocare sereni, poi nuovamente succede qualcosa che irrita la donna e di nuovo si scaglia contro i bambini. Inizio a sentirmi molto male, sento tutta la sofferenza di quella donna e anche e di quei bambini. So che quella mamma ama i suoi bambini, ma non ce la fa più, è stanca, è incinta, e chissà quanto carico ha sulle spalle: casa, cucina, pulizie, marito, magari anche un lavoro. Penso a mia mamma e so che si è comportata così tante volte, so che anch’io certe volte sono così, anche se, per fortuna, sempre meno. So cosa vuol dire essere sola con i bambini, vuol dire che devi imparare a contenere la tua parte bambina interiore e anche i tuoi bambini insieme.
So che tutti noi, o quasi, abbiamo una parte bambina ferita dentro, ma anche un adulto che la maltratta. Per questo prendere la parte dei bambini, come naturalmente accade di primo acchito, non risolve la nostra scissione interna.
Come si può sciogliere questa divisione?
Come si possono guarire queste parti dentro di noi?
Durante una meditazione mi è uscita una risposta: “amandole entrambe”.
Solo avendo compassione della mamma che maltratta potremo aiutarla a esprimere l’amore per i suoi bambini. L’aggressività è una difesa alla tristezza, alla paura: se faccio la voce grossa ho l’energia che mi serve e posso tirare avanti, magari non sono contenta di me, ma posso lavorare, pulire casa, fare la spesa, preparare da mangiare, far fare la Dad (Didattica a distanza) a mio figlio, cambiare pannolini.
Se crollo chi lo fa per me?
Purtroppo generazioni di mamme stressate crescono figli repressi che si sentono inadeguati.
Nel nostro paese poi sembra ci sia una sorta di cospirazione per rendere tutto più difficile alle famiglie e in particolare alle mamme, per non parlare in tempo di pandemia. Qualcuno l’anno scorso ha scritto un articolo che si chiamava “Il paese che odia le mamme”, direi che era piuttosto azzeccato.
Più si è tristi e stressati più si pensa sia utile prendersela con gli altri, e da qui la gente che denunciava i runner spiandoli dal balcone, chi chiama la polizia quando trova degli “assembramenti”, la lotta tra i “provax” e i “no-vax”, le mamme che denunciano le altre mamme.
Prendersela con gli altri non ci aiuterà a stare meglio, anzi, solo aiutarci a vicenda, avere compassione delle altre persone, anche se la pensano diversamente da noi, anche se fanno scelte che non condividiamo, è l’unica strada per stare meglio.
Certo l’aggressore può diventare molto pericoloso, andrebbe “curato”, prima che faccia male agli altri, prevenire la cattiveria con l’amore e la compassione sarebbe l’unica via.
Io purtroppo quel giorno non sono stata capace di dire niente, alla fine me ne sono andata ancora più triste. Se potessi fare qualcosa adesso, anche solo con l’immaginazione, abbraccerei quella donna e quei bambini con tutto l’amore possibile. Farei come fa quella signora indiana famosa, Amma, che da abbracci che curano… chissà, se imparerò anch’io ad abbracciare tutte le parti di me, anche le più scomode, magari un domani sarò capace anch’io di abbracci che curano.
Eleonora
Nei periodi difficili, come quello che stiamo vivendo ad esempio, dovremmo aumentare l’amore dentro e fuori di noi, ma spesso ce ne dimentichiamo. A livello planetario le vibrazioni sono molto basse, se prima ci bastava condurre una vita “normale” per stare tutto sommato bene, adesso siamo più stanchi, più giù di morale, svogliati e magari non dormiamo bene.
Allora può capitare che invece di volerci più bene, di trattarci con più amore e attenzione, ci diamo addosso perché non siamo “performanti” come al solito. Compaiono in noi delle voci critiche che ci fanno sentire inadeguati e di conseguenza ancora più stanchi.
Accorgersi di questo meccanismo distruttivo è il primo passo per trasformarlo.
Se ci accorgiamo che ci stiamo criticando dobbiamo fermarci. Dobbiamo interrompere quello che stiamo facendo e prenderci cura di questa emozione di rabbia che stiamo scagliando contro di noi. Thich Nhat Han afferma che se siamo pervasi dall’energia della rabbia dobbiamo immediatamente fermarci e prenderci cura di questa emozione distruttiva.
Quando siamo in preda alla rabbia (che sia rivolta verso noi stessi, o verso gli altri) è come se la nostra casa stesse andando a fuoco: se la tua casa va a fuoco, per prima cosa devi spegnere l’incendio, non puoi continuare a fare le attività che facevi prima. Può essere che questa energia ci sia stata tramandata dai nostri genitori: loro non hanno saputo trasformare la sofferenza dentro di loro e così ora la troviamo dentro di noi. In Psicosintesi si parla di “disidentificazione”: osservo che dentro di me c’è della rabbia e ne prendo le distanze, la accolgo senza giudicarla ma non divento la mia rabbia.
Se provo rabbia o tristezza devo amarmi di più, non darmi addosso. Bisogna imparare a diventare amorevoli e accoglienti verso di noi in ogni situazione della nostra vita… se stiamo bene, se stiamo male, se siamo forti, se siamo deboli.
“Trattare me stesso come un bene prezioso mi renderà più forte” dice Julia Cameron.
Ci sono tanti modi di volersi bene, vediamone insieme alcuni proprio perché molte volte ce ne dimentichiamo:
Un altro modo di darsi amore è fare le cose con calma.
Ho notato che più abbiamo fretta e pensiamo di “non avere tempo” più ci carichiamo di stress e facciamo le cose in modo “rabbioso”: pulire, riordinare, far da mangiare, mettere a letto i bambini…
Ogni cosa diventa fonte di stress se pensiamo di dovere fare in fretta!
Se abbiamo fretta è impossibile fare le cose con presenza e concentrazione, men che meno con amore! Prendiamo due tre respiri e chiediamoci a cosa ci serve fare le cose male con rabbia piuttosto che metterci più tempo e godere il presente.
A tal proposito c’è una bella storia che racconta Thich Nhat Hanh riguardo alla fretta e alla rabbia: quando, da giovane, viveva negli Stati Uniti, era andato a cena a casa di un gruppo di monaci e dopo mangiato si erano fermati in salotto a discutere di politica e di pace. A un giovane monaco venne dato l’incarico di lavare i piatti e lui era molto infastidito di doversi assentare dai discorsi politici “importanti” per mettersi a pulire quella fila interminabile di stoviglie. Allora Thay, che aveva sentito l’energia di quel monaco, e l’aveva raggiunto in cucina: per fargli capire l’importanza di lavare i piatti in “presenza mentale” gli aveva detto: “dovresti lavare queste stoviglie come se stessi lavando Gesù bambino”!
Certo non siamo monaci zen e praticare la mindfulness non è così facile, ma anche solo rallentare ci può già portare in uno stato più pacato e più amorevole.
Cerchiamo di ricordare che in momenti cupi la cosa più importante che possiamo fare è aumentare l’energia dell’amore.
“Mi piace dedicarmi con calma a ogni piatto, pienamente consapevole del piatto, dell’acqua e di ogni movimento delle mani. So che se mi sbrigo per finire prima, l’esperienza di lavare i piatti sarà sgradevole e indegna di essere vissuta. E sarebbe un peccato, perché ogni minuto, ogni secondo di vita è un miracolo. Anche i piatti e il fatto di essere qui a lavarli sono un miracolo!
Eleonora
Se non so lavare i piatti con gioia, se cerco di finire il prima possibile per andare a mangiare il dolce, sarò altrettanto incapace di gustarlo. Con la forchetta in mano, penserò a cosa fare dopo, e la sua consistenza e il suo sapore, nonché il piacere di mangiarlo, andranno perduti. Sarò sempre risucchiato dal futuro, e il presente continuerà a sfuggirmi.”
(Thich Nhat Hanh)
Uno dei compiti più difficili e sfidanti nella vita è avere rapporti armonici con gli altri: con il nostro partner, con i figli, i nostri genitori, gli amici, i colleghi. Ma spesso non è per niente facile.
Perché?
Da un po’ di tempo ho intuito che tutto dipende da noi, e dal nostro rapporto con noi stessi.
Noi, spesso, proiettiamo sugli altri i nostri pensieri interiori e quindi attribuiamo a loro i nostri pensieri e i nostri giudizi, e così facendo finiamo per attirarci proprio quello che temevamo di più.
Cercherò di spiegarmi meglio.
Quando non andiamo d’accordo con gli altri è semplicemente perché pensiamo che l’altro non ci ami, ci consideri una persona cattiva, o pigra, o incapace, o troppo dura, o poco assertiva.
Magari quando eravamo bambini abbiamo incontrato degli adulti poco empatici che ci hanno giudicato severamente, e ora quelle voci e quei giudizi sono dentro di noi… non sei abbastanza bravo, bella, estroverso, forte, veloce, brillante, felice.
Se penso che il mio partner non mi consideri abbastanza bella o capace inizierò a chiudermi e a sentirmi di non valere, cercherò di camuffarmi per cercare di essere migliore. Non andrò con gioia e affetto verso di lui, ma aspetterò che lui mi dimostri che mi ama, cosa che immancabilmente non avviene perché la mia chiusura attira chiusura dall’altra parte.
Se penso che il mio collega mi ritenga mediocre nello svolgere il mio lavoro tenderò a non sentirmi a mio agio e fare più “strafalcioni”. Se penso di essere una “cattiva mamma” perché ho sgridato mio figlio finirò per credere che lui non mi ama, e che magari preferisce la babysitter o la maestra dell’asilo, e così sarò ancora meno amorevole entrando in un circolo vizioso.
Provate a pensare all’ultima volta in cui avete avuto difficoltà con qualcuno… probabilmente avere immaginato che quella persona pensasse qualcosa di negativo di voi!
Possono succedere così due possibilità: o iniziamo noi a criticare l’altro, per salvare noi stessi, raccontandoci che in fondo siamo buoni, belli capaci ed è l’altro che ha sbagliato. Oppure iniziamo a credere a quei giudizi e ci sentiamo veramente piccoli e insignificanti.
Come fare per uscire da questo circolo vizioso?
Proviamo con un semplice esercizio.
1- Per prima cosa fermiamoci un attimo a pensare alla relazione con la persona con cui ho problemi in questo momento. Chiediamoci: “cosa credo che lui/lei pensi di me? Mi sento amato e riconosciuto da questa persona, mi sento accolto?”
2- Scriviamo su un foglio il pensiero negativo che abbiano attribuito a lui/lei ( Esempio: Giorgio pensa che io sia incapace a svolgere bene il mio lavoro perché non sono abbastanza intelligente. Oppure mio marito non mi ama abbastanza perché non sono abbastanza giovane e bella. Oppure Francesca è arrabbiata con me perché non la chiamo mai e non vado a camminare con lei, non sono abbastanza disponibile.)
3- Cerchiamo di indagare se c’è una persona adulta nel passato che ci ha attribuito questi giudizi negativi (i nostri genitori, nonni, un professore delle medie, la nostra vicina di casa…)
4- E ora concentriamoci su di noi, immaginiamo noi stessi quando eravamo piccoli e parliamo al nostro bambino o alla nostra bambina interiore, diciamole dolcemente: “ tu sei bella/o e brava/o così come sei, meriti tutto l’amore e il riconoscimento che non hai avuto, io sono qui per te!”
Se impariamo ad amarci così come siamo, ad accettare la nostra non-perfezione, se impariamo a coccolarci, a trattarci con cura e rispetto, se impariamo a sentire che siamo esseri unici in un Universo che ci ama, riusciremo a proiettare meno sugli altri, e quindi ad avere relazioni migliori.
Inoltre, se noi ci sentiamo degni di amore e riconoscimento, se non dobbiamo andare a mendicare amore e riconoscimento fuori, improvvisamente anche gli altri ci ameranno e ci riconosceranno di più.
Stasera mentre ero in bagno con Luce e Lorenzo e ci preparavamo per andare a dormire mi è venuta da cantare la canzone di Gianna Nannini “Bello impossibile”. Come se mi fossi attaccata alla corrente ho sentito che l’energia iniziava a salire. Ho deciso quindi di far partire la canzone originale sul telefono per farla sentire a Lorenzo (7 anni). Poi, mentre andavamo in camera sempre con quella musica a un volume piuttosto alto, io e Luce (3 anni) ci siamo messe a ballare come due rokkettare. Oggi era stata una giornata piuttosto grigia in tutti i sensi: la notte prima avevo dormito malissimo, ero stanca e con varie preoccupazioni che mi frullavano nella mente da alcuni giorni. I bambini erano anche loro stanchi e carichi, persino un po’ isterici. Fuori l’aria da diversi mesi è irrespirabile, un inquinamento misto a nebbia, e il sole pallido non riesce a farsi sentire coperto dalle nuvole e dalla cappa di smog.
“Strana questa Gianna Nannini che mi fa visita per la seconda volta…qualche notte fa in un sogno, e oggi in un momento improbabile”, mi sono detta. Così, invece di mettere subito a letto i bambini, mi sono riascoltata a ruota le vecchie canzoni che ho amato di più in giovinezza: I maschi, Avventuriera, Notti magiche, Profumo... E improvvisamente sono stata catapultata con le emozioni ai primi anni 2000 quando mi ero trasferita a Milano per frequentare la scuola del Cinema, quando vivevo in un monolocale in Darsena e pensavo che avrei conquistato il mondo. E ho capito che quell’energia che mi aveva in pochi secondi ricaricato le batteria era l’Eros, l’Eros di cui parlano tutte le canzoni di Gianna di quel periodo, era l’Eros che permeava tutta la mia vita in quegli anni. Quando parlo di Eros non intendo l’erotismo e sessualità, anche se sicuramente parte dell’Eros si riversa anche in quel campo, ma intendo il significato filosofico e psicoanalitico del termine e cioè come energia vitale, che si contrappone all’istino di morte. L’ Eros è l’energia che scorre nelle vene di una ragazza di 22 anni che studia quello che la appassiona, che frequenta corsi di teatro, di inglese, che cambia spesso fidanzato, che gira video a zero budget con gli amici, che fa serate in birreria e a ballare, che quando può svuota i suoi risparmi in cene di sushi in uno dei primi ristoranti giapponesi di quel tempo.
Se c’è una cosa che manca oggi nella mia vita e in generale nella collettività è l’Eros!
Viviamo distanziati gli uni dagli altri (qualcuno afferma, non so se per scherzo o credendoci sul serio, che anche tra coniugi è consigliabile indossare la mascherina durante i rapporti intimi!), siamo quasi sempre chiusi in casa, ci hanno tolto i bar, i ristoranti, le serate con gli amici, le cene, la danza, il teatro, il cinema, lo sport, i viaggi.
Mentre ero immersa nel mio viaggio nel tempo ho guardato su youtube un video live di Gianna a un concerto nell’’88 mentre canta Avventuriera…. gare di moto, sesso, libertà… e intorno a lei una folla in festa accalcata e scatenata. Lorenzo, guardando il video, ha subito commentato indicando la gente: “Adesso non si potrebbe fare!” Già, adesso non si può. Quel tempo leggero e spensierato sembra una vita fa, è una vita fa in tutti i sensi! Che paura che i mei figli inizino a pensare che quella di oggi sia la “normalità”….
Ci hanno rubato l’Eros.
Ci siamo fatti rubare l’Eros da un virus.
Ma noi l’Eros ce l’abbiamo dentro, nessuno può rubarcelo.
Come nessuno può rubarci l’anima. Il cuore, l’amore.
Ci sono tante coppie che sono scoppiate durante o dopo la quarantena, uomini e donne che hanno cercato un amante per ritrovare l’Eros perduto. Certo può dare un po’ di brividi all’inizio, un po’ di euforia…ma non so se è “la soluzione”. Forse è importante cercarlo dentro di noi il nostro Eros e risvegliarlo con il nostro compagno o compagna, dare vita a dei progetti creativi, scrivere un libro, dedicarsi alla creatività… ritrovare i nostri sogni. Non è facile, ma possiamo provarci, magari partendo proprio da una canzone.