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IMPARARE A STARE MALE

Spesso stiamo bene, e questo è buono.

Delle volte però stiamo male, può essere un male fisico o può essere una situazione difficile che dobbiamo gestire e ci genera sofferenza.

Se stare male è una condizione naturale dell’essere umano, imparare a stare male delle volte è una lezione che potremmo impiegare tutta la vita a fare nostra.

Quando stiamo male fisicamente andiamo da un dottore e ci facciamo prescrivere le medicine giuste per il nostro dolore.

Ma non sempre il nostro dolore passa subito.

Allora ci ritroviamo a preoccuparci perché non guariamo immediatamente, ci prefiguriamo chissà quali altri dolori e mali, e questa sofferenza psicologica data dalle preoccupazioni si somma al dolore fisico facendoci stare male doppiamente.

Oppure pensiamo a tutte le cose che non possiamo fare in quel periodo perché stiamo male e soffriamo ancora di più.

A me ad esempio è capitato quando, una estate di qualche anno fa, mi ero fatto male a un dito del piede giocando a calcetto.

Avevo giocato la partita a Milano, poi mi ero messo in macchina ed avevo guidato fino a Genova, ma siccome il dito continuava a farmi male, sono andato al pronto soccorso di San Martino e mi hanno fatto i raggi.

Dopo poco il responso: il dito era rotto. 

Così mi hanno ingessato il piede e sono entrato in ansia perché non potevo andare al lavoro per un po’ di giorni. In più avevo dovuto saltare un week end di mare programmato e degli incontri sportivi a cui tenevo molto (che a pensarci oggi non erano per nulla importanti, ma in quel momento mi sembravano vitali…). 

E così oltre a stare male per il dito stavo male perché non potevo fare tutto quello che avevo pianificato e… non potevo neanche vedere i miei amici!

Anche quando viviamo una situazione difficile che ci genera sofferenza può capitarci di stare parecchio male.

Può succedere di vivere una relazione che non ci appaga ma che facciamo fatica a chiudere. Oltre alla sofferenza data dalla relazione che “non va” c’è tutta una sofferenza aggiuntiva legata ai sensi di colpa perché ci sembra di non trovare mai la persona giusta, di essere sempre insoddisfatti in amore, di non riuscire a dire quello che sentiamo al nostro partner…

Oppure possiamo vivere con difficoltà certe relazioni sul lavoro, con il nostro capo o con i collaboratori. Anche in questi casi potremmo ritrovarci ad affliggerci perché oltre ai problemi di natura relazionale pensiamo che anche il lavoro che facciamo non va bene, non è quello giusto per noi, ma ci troviamo costretti a continuare a stare in quella situazione perché abbiamo bisogno dello stipendio e non pensiamo di riuscire a trovare nulla di meglio…

A me è capitato in un periodo della mia vita di soffrire sul lavoro perché percepivo che c’erano delle grandi aspettative su di me ma io mi sentivo inadeguato per quel ruolo. Così mi giudicavo negativamente perché non ero abbastanza bravo.

Questa situazione, prolungata nel tempo, da “psicologica” è diventata fisica portandomi in dono anche una bella gastrite.

Cosa fare quando ci si trova in queste situazioni?

  1. Il primo passo è riconoscere che ci si trova in difficoltà e accettare che questo possa capitare: non sempre la vita ci regala gioie, delle volte dobbiamo passare attraverso situazioni difficili. Per fortuna anche queste hanno una durata: iniziano, si sviluppano… ma poi finiscono!
  2. Il secondo passo è riconoscere la situazione difficile: perché sto soffrendo? In questa fase dobbiamo riconoscere la causa ‘primaria’ della nostra sofferenza: il dito rotto, la relazione sentimentale che non sta andando in quel periodo, i problemi col capo o con qualche collaboratore, la gastrite.
  3. Il terzo passo è riconoscere “la sofferenza aggiuntiva”: non è che per caso mi sto tormentando oltremisura per qualcosa negativo che mi è successo? Questa è la fase più delicata perché spesso siamo così identificati nella nostra sofferenza che facciamo fatica a distinguere quella ‘originaria’ da quella ‘aggiuntiva’. Spesso questa angoscia aggiuntiva viene da una parte di noi che si giudica (sensi di colpa, sensi di inadeguatezza, …) o che non riesce ad accettare la realtà (“Caro Alberto, hai il dito del piede rotto, adesso non puoi andare a giocare a beach-volley, calcetto, squash… non è una scelta, è un dato di fatto!”). Questa parte giudicante viene quasi sempre da dei nostri modelli IDEALIZZATI di come dovremmo essere: infrangibili, perfetti nelle relazioni amorose, stellari sul lavoro, e così via…
  4. La quarta fase è riconoscere la tristezza che il fatto di non essere perfetti ci provoca: dobbiamo accettare la nostra vulnerabilità e aspettare che il dolore passi, senza fretta. In genere quando arriviamo alla quarta fase siamo già pronti per sciogliere parte del dolore che stiamo vivendo, in pratica, abbiamo imparato a stare male.

Sapere che non può andare sempre tutto bene nella vita (1º passo) ci aiuta a ripianficare la nostra vita in funzione di come stiamo, con serenità. 

Riconoscere la fonte primaria della sofferenza ci aiuta a trovare i rimedi che ci permetteranno di stare meglio (2º passo).

Vedere le sofferenze secondarie ‘aggiuntive’ (3º passo) ci aiuta a guarire delle ferite “interiori” che magari ci portiamo dentro da anni e che ci hanno sempre condizionato senza che ce ne rendessimo conto.

Stare con la tristezza (4º passo) ci consente di accettare la realtà così come è, di vivere il momento presente e di prenderci cura di noi stessi.

Imparare a stare male è un’arte, fatta di riconoscimento e accettazione che ci aiuta a crescere in consapevolezza e in potere dì guarigione.

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