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ASCOLTARSI PER AMARSI

In questo periodo sto riflettendo sul tema della stanchezza, del sentirsi scarichi e provi di energie cosa che ultimamente mi capita spesso. 

Ci sono alcune tipologie di persone, quelle che Anita Moorjani chiama gli empatici, che tendono a disperdere la loro energia a seconda delle persone che frequentano: se le persone intorno a loro sono stressate, stanche o tristi gli empatici tendono a rilasciare la loro energia e fare di tutto per migliorare quella delle persone intorno. Tendono poi a assecondare i bisogni e i desideri degli altri per farli stare meglio. Tutto questo fa sì che il loro livello di energia scenda sempre di più e si trovino così in riserva energetica, stanchi e esauriti. 

Se in più oltre ad essere empatico devi prenderti cura costantemente di qualcuno, dei genitori anziani, dei bambini, o se fai un lavoro in cui naturalmente ti occupi degli altri (medico, psicoterapeuta, counsellor) allora anche in quel caso dovrai attingere costantemente alla tua energia per aiutare gli altri e sarai quindi molto più a rischio di esaurirla.

Nell’ ultimo periodo nella mia famiglia ci siamo tutti ammalati di Covid, e in più abbiamo in casa una cucciolata di bellissimi Ragdoll per cui mi sono trovata, oltre a dover curare tutta la famiglia e me stessa, una volta guariti, ad aiutare i gattini nello svezzamento e a pulire i loro bisogni per tutta la casa perché non hanno ancora imparato a usare la lettiera, per poi aggiungere il recupero dei compiti di Lorenzo (terza elementare) e le normali faccende quotidiane. Insomma mi sono trovata in un frullatore e la mia energia ha iniziato a dissiparsi sempre di più. Ci sono periodi così, in cui devi stringere i denti e andare avanti aspettando che passino. Però ci sono anche delle strategie che bisogna imparare a mettere in atto per non disperdere tutta la propria energia per affrontare questi momenti critici, vediamone alcune:

  • Ascoltarsi. Questa è la prima regola: tutti hanno richieste da fare, bisogni da appagare, desideri da esaudire, ecc. e ci si può trovare sommersi dalle richieste degli altri. Bisogna ritagliarsi momenti di silenzio e ascoltarsi, chiedersi: “Di che cosa ho bisogno? Cosa mi fa felice? Posso dire di no a questa richiesta?” A me capita a volte che sono talmente stanca e tirata da tutte le parti dalle richieste altrui che non riesco nemmeno più a capire di che cosa avrei voglia di fare e soprattutto di che cosa avrei bisogno. In questo caso è fondamentale prendere tempo, non dare subito delle risposte e magari fare una meditazione (vedi ad esempio la meditazione del Saggio nella sezione Video) che ci metta in contatto con la nostra parte Saggia. L’ascolto della parte più profonda di noi è l’unico modo per capire se una cosa ci fa stare bene o no.
  • Saper dire di NO. Non possiamo accontentare tutti, e soprattutto, se noi siamo troppo stanchi e scarichi finiremo per far stare male anche gli altri. Se ho esaurito la mia energia sono più propensa ad arrabbiarmi e a trattare male le persone. Ricercare la propria felicità è il primo modo per fare felici anche gli altri.
  • Non sentirsi in colpa, non giudicarsi. Se non accontento tutti, se non sono performante come al solito, se non vado a correre o a camminare, se non ho fatto yoga o meditazione, se non sono andata a quella cena, se non ho portato i bambini al parco, se, se, se….PAZIENZA! Prima devo recuperare la mia energia perduta, poi mi tornerà la VOGLIA di fare tutte queste cose. “Fare fare fare” perché ci sentiamo in obbligo è veramente controproducente. Certo alcune cose non posso esimermi da farle anche se non ne ho voglia, ma anche chiedere aiuto a qualcuno è un buon esercizio in certi periodi. Certe volte anche solo dormire di più, fare un riposino dopo pranzo, o stare sdraiati a letto ascoltando il respiro possono essere azioni di ricarica quando siamo veramente stanchi.
  • Coccolarsi. Cura del corpo, musica rilassante, fiori in casa, incensi, andare dalla parrucchiera, mettere lo smalto, farsi un regalo, fare un bagno caldo, ordinare la spesa o la cena invece di portare pesi e cucinare se non ne abbiamo voglia, prendere un taxi invece che i mezzi, guardare un film che ci piace o una serie tv, o un cartone animato che guardavamo da bambini, leggere un libro… ecco questi sono tutti modi di coccolarsi. Quando ci occupiamo sempre degli altri dimentichiamo noi stessi e le “coccole” sono un modo semplice e veloce per dire alla nostra parte bambina: “ti voglio bene, so che ci sei anche tu!”
  • Scrivere. Scrivere le pagine del mattino o un diario è un modo molto utile per focalizzarsi su di noi, sui nostri bisogni, sui nostri desideri. Consiglio di farlo tutti i giorni preferibilmente la mattina presto.

Quando siamo stanchi e stressati non ci stiamo amando. Per amarsi bisogna imparare ad ascoltarsi e ricordare che solo se sto bene io posso far star bene gli altri.

 

Se vuoi approfondire il tema dei “limiti” e il dire di “No” puoi leggere i seguenti Post:

SAPER METTERE I LIMITI (Clicca qui)

SAPER METTERE I LIMITI AI BAMBINI (Clicca qui)

Come dire di “No” al proprio capo? La via per mettere limiti sul lavoro. (Clicca qui)

 

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LA MEDITAZIONE DEL FIUME D’AUTUNNO

Stamattina, come ogni mattina, ho fatto una piccola passeggiata per portare Lorenzo a scuola.

Mentre stavo rientrando a casa per lavorare, dentro di me hanno iniziato ad affollarsi pensieri lavorativi, scadenze progettuali, attività urgenti da chiudere e un’infinità di altri compiti amministrativi da smarcare.

Stavo precipitandomi a casa per cominciare tutte queste attività quando ho alzato lo sguardo e ho visto lo scorrere del fiume Adige. Ho deciso di cambiare strada: ho abbandonato il marciapiede e le automobili in fila e sono sceso dalla scalinata in pietra che conduce alla strada a ciottoli che corre lungo la riva dell’Adige.

Respiro.

Ho scelto di fare gli ultimi duecento metri che mi separavano dalla mia routine lavorativa camminando vicino al fiume. Ho fatto un respiro. Ho osservato l’acqua correre e inseguirsi lungo la direzione della corrente. Poi il mio sguardo si è soffermato sul riflesso dei primi raggi di sole che si rifrangevano sulla superficie bagnata dell’Adige. Infine la vista si è tuffata nelle foglie gialle d’autunno appese incerte sugli alberi dell’altra sponda del fiume.

Incanto.

Mi sono detto: “Alberto, è inutile correre verso le tue preoccupazioni. Quelle ci sono e ci saranno sempre. Piuttosto scopri la vita che c’è ogni momento intorno a te. Approfitta di queste pause di vita per apprezzare la natura che ti avvolge”.

In realtà non ho allungato la strada di casa, non ho perso appuntamenti lavorativi facendo quella piccola deviazione, ho solo messo un po’ ossigeno nella mia vita, mi sono sentito come se avessi bevuto un bicchiere di acqua fresca nella calura di agosto, anche se in realtà siamo a novembre e la mattina con otto gradi fa parecchio freddo a Verona…

C’è stato come uno “spostamento” in me, uno spostamento interiore. Un movimento che mi ha permesso di lasciar andare il flusso di pensieri e le agitazioni che dal cervello si aggrovigliavano allo stomaco fino a giungere ai polmoni bloccandoli, e costringendomi ad una asfissiante apnea mentale e fisica. Un movimento che mi ha restituito il presente, il fiato, l’apertura, il contatto con la natura, il possesso di me stesso, la centratura, l’autodeterminazione, il controllo e la poesia della vita.

Le cose da fare rimangono, ma le svolgerò come sempre al momento opportuno, occuparsi prima di quei pensieri ingombrando la mente non è utile, non serve a me né agli altri.

Quante volte viviamo intrappolati nei pensieri di quello che dobbiamo fare, e ci ripetiamo mentalmente queste preoccupazioni come per ricordarle a noi stessi, come se fosse così facile liberarci da queste ansie. Come se bastasse non pensarci per qualche secondo per farle sparire. Come se si potessero far evaporare come una goccia d’acqua posata su una pentola ardente… In realtà le nostre preoccupazioni sono sempre lì, più che concentrarci su quelle in ogni momento dobbiamo imparare a concentrarci qualche momento su tutto il resto, su quello che c’è di bello fuori di noi e che, in qualche modo, anche semplicemente notandolo, possiamo far entrare in noi.

Quando ci riusciamo, e cominciamo a goderci il presente, e a stupirci con meraviglia di tutto quello così semplice ma così bello che ci circonda, la tentazione di rimanere in tanto ‘incanto’ è forte, come mi è successo questa mattina quando ho cominciato ad apprezzare il passeggiare sul fiume: subito è sopraggiunta la voglia di proseguire il cammino a contatto con la natura ancora per diversi minuti. Con un po’ di autocontrollo è però possibile tornare a casa e rimetterci a lavorare sulle nostre cose.

Riuscire a regalarci queste piccole parentesi di benessere ogni giorno donerà una grandissima ricchezza alla nostra vita, delle vere e proprie parentesi meditative che possono metterci in contatto con la bellezza e i nostri sensi più profondi.

Ad ascoltare mi ha insegnato il fiume, e anche tu imparerai da lui. Lui sa tutto, il fiume, tutto si può imparare da lui. Vedi, anche questo tu l’hai già imparato dall’acqua, che è bene discendere, tendere verso il basso, cercare il profondo.

Herman Hesse
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COME CONTATTARE LA PROPRIA GUIDA INTERIORE

Uno dei momenti più importanti del cammino di crescita personale è quello in cui scopriamo di avere una voce interiore saggia che ci guida in mondo benevolo nelle nostre scelte. Questa parte di noi, che alcuni chiamano Sè, altri chiamano anima è una parte profonda, forse un frammento della scintilla divina che è presente in noi e, per chi ha una visione spirituale della vita è quella parte che sopravvive alla morte. 

Ci sono molti modi per mettersi in contatto con Lei. Vediamo quelli che ho sperimentato e che mi sento di suggerirti:

SCRITTURA

Io ho iniziato a “dialogare” con la mia voce interiore più o meno nel 2008 quando, grazie a un esercizio de La via dell’artista, di Julia Cameron, ho iniziato a scrivere di getto tre pagine di quaderno appena sveglia. Se scrivi appena sveglia la tua mente è più in contatto con l’inconscio e per questo è più facile che si faccia sentire la parte saggia dentro di te. 

Un altro metodo che si avvale sempre della scrittura è quello di porre delle domande al tuo Sè, ascoltare cosa emerge, e poi scrivere di getto le risposte. 

La scrittura è un metodo molto utile per noi Occidentali che siamo piuttosto “mentali”: è una pratica più facile anche rispetto alla meditazione per chi trova quest’ultima troppo difficile.

MEDITAZIONE

La meditazione si è diffusa sempre più nel nostro mondo Occidentale e ormai molti la praticano nella vita di tutti i giorni. Per riscontrare i benefici della meditazione ci vuole un po’ di costanza. Non è una pratica adatta a tutti, perché stare in silenzio ad ascoltare il respiro può essere difficile e può  innervosire molte persone che si lasciano portare via dai pensieri e invece di rilassarsi iniziano un braccio di ferro con la mente. Può essere però che, accettando la predisposizione della mente a distrarsi, e allenandosi un po’ ogni giorno, si riesca a prendere dimestichezza con questa pratica. Anche seguire delle voci guida registrate può essere molto utile.

Durante la meditazione l’obiettivo è quello di mettere a tacere la mente concentrandosi sulla respirazione e creare una sorta di “vuoto” che ci aiuta ad allinearci con il Sè. Facendo anche solo 5 minuti al giorno ci accorgeremo che abbiamo maggior presenza nella vita di tutti i giorni, siamo meno preda di ansia e emozioni e riusciremo ad agire più allineati alla parte saggia di noi.

YOGA

Praticare yoga non è un ascolto diretto della nostra voce interiore, ma l’allenamento costante ci aiuta a essere “più centrati”. Cosa vuol dire essere più centrati? Vuol dire che questa pratica dalla saggezza millenaria ci rende più sereni e tranquilli, più buoni, più predisposti al bene perché mette a tacere le parti di noi più ansiose e preoccupate e ci predispone a un “contatto naturale” con la nostra parte saggia. Prima di un evento importante, di un lavoro a contatto con la gente, prima di scrivere o parlare in pubblico, fare anche solo 5 minuti di yoga o di meditazione ti aiuterà a fare emergere la parte più saggia di te e quindi a rendere meglio.

VISUALIZZAZIONE DEL SAGGIO

Una visualizzazione che si usa fare in Psicosintesi è quella di andare a parlare con il vecchio Saggio. 

“Chiudi gli occhi, prendi una posizione comoda e lascia che respiro rallenti. Ora immagina di essere ai piedi di una montagna, stai salendo verso la cima e stai portando con te uno zaino piuttosto pesante con dentro alcune cose tue. Mentre sali senti se puoi alleggerire lo zaino, se puoi lasciare andare alcune cose. Continua a salire, osserva il paesaggio intorno a te, quello che vedi. Finalmente arrivato in cima incontri il Vecchio Saggio. Ora puoi porgli le domande che vuoi, se hai bisogno di consigli e di risposte. Ascolta quello che ti dice, se ti da qualcosa da portare con te. Poi salutarlo e scendi dalla montagna.”

Finita la visualizzazione può essere utile appuntarsi le risposte ricevute o eventuali intuizioni che ci vengono in mente. 

Questa pratica è molto utile da fare nei momenti di difficoltà, quando hai molte parti contrastanti dentro di te e ti senti confuso.

PREGHIERA

Andare in chiesa ad accendere una candela e pregare, o farlo anche a casa in un momento tranquillo aiuta a calmare il respiro e a contattare il nostro silenzio interiore. Dopo avere pregato è utile stare in pace ad ascoltare il respiro, in questo modo sarà più facile che la nostra parte divina si faccia sentire con qualche intuizione o suggerimento.

NATURA

Camminare nella Natura, lungo la spiaggia, in mezzo a un bosco, o tra le vette di una montagna ci aiuta a creare una sorta di pace interiore. Dopo aver camminato può essere utile fermarsi in silenzio e ascoltare il nostro respiro. Nella pace del silenzio possiamo percepire che noi stessi facciamo parte del tutto, di questa Natura così meravigliosa che ci circonda. Quando ci sentiamo parte della Natura entriamo naturalmente in contatto con la nostra parte profonda e siamo immediatamente allineati con i nostri valori, con l’amore e con il perdono.

 Vi è mai capitato di essere arrabbiati con qualcuno e poi, facendo una gita in mezzo alla Natura sentire che avete perso la rabbia, che magicamente si è sciolta, che avere perdonato nel vostro cuore quella persona? A me è capitato, anche se in quel momento non ho fatto caso al perché di questo improvviso cambiamento interiore. Stare in mezzo alla Natura è per la nostra anima un po’ come tornare a casa.

Fare tutti giorni almeno una di queste pratiche ti aiuterà a essere più centrato e in contatto con la parte migliore di te. Non praticare rischia di farci restare in balia delle nostre Subpersonalità, come le chiama Assagioli, il fondatore della Psicosintesi, e quindi ci sentiremo sballottati, come una barca durare il mare in tempesta, dalle onde delle emozioni, dei pensieri, degli impulsi.

Un esempio di routine di pratiche potrebbe essere questa:

15’MATTINA:

Fai yoga o scrivi pagine del mattino.

30’POMERIGGIO :

In pausa pranzo o dopo il lavoro fai una passeggiata nella Natura.

5’/10’SERA 

Fai una meditazione o una preghiera prima di dormire. Ringrazia per quello che già hai. 

Fare più pratiche durante la giornata ed essere costante ti aiuterà a stare decisamente meglio e a cambiare rotta nella tua vita.😌

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NON ABBANDONARTI

L’altro giorno stavo facendo una seduta di Arteducativa con Mara Chinatti e alla fine è emersa una frase: “ricorda di non abbandonarti”. Questa frase è stata per me rivelatoria perché mi ha permesso di capire cosa era successo nell’ultimo periodo della mia vita: presa da incessanti impegni familiari e lavorativi mi ero completamente dimenticata di me stessa. Ma cosa vuol dire dimenticarsi di se stessi?

Proviamo a fare alcuni esempi:

Io mi dimentico di me stessa quando….

  • – Mi metto in un angolo o mi faccio mettere in un angolo.
  • – Dimentico i miei desideri.
  • – Mangio male.
  • – Non faccio attività fisica.
  • – Mi trascuro fisicamente.
  • – Non vado dalla parrucchiera per troppo tempo.
  • – Non leggo più.
  • – Passo troppo tempo sui social a imbruttirmi con confronti o con disgrazie.
  • – Trascuro la casa e le piante.
  • – Lascio che il mio partner o i mei figli “mi calpestino” (in senso metaforico).
  • – Dico sempre di sì.
  • – Mi forzo a fare mille attività quando invece ho bisogno di riposo.
  • – Mangio troppo o bevo troppo perché mi trovo in un contesto sociale e non so dire di no a un parente o a un amico.
  • – Spendo soldi solo per gli altri e non mi concedo qualche sfizio per me.
  • – Mi faccio invadere nei miei confini. 
  • – Ecc. ecc.

Quando ci dimentichiamo di noi finiamo per essere tristi e arrabbiati, la nostra energia vitale diminuisce, appassiamo piano piano. Se questo processo va avanti per tanto tempo, senza che corriamo ai ripari, senza che ci accorgiamo che ci stiamo abbandonando potremmo incorrere in somatizzazioni, malattie o depressione. Il disagio corporeo spesso è prima di tutto il segnale che qualcosa non sta andando bene, che bisogna fermare tutto e rimettere noi stessi in primo piano.

Per prendersi cura degli altri prima dobbiamo prenderci cura di noi, accudirci, ascoltarci, volerci bene, perdonarci, abbracciarci… “non abbandonarci insomma”.

Per fiorire e stare bene dobbiamo amarci profondamente e farci felici, solo in questo modo potremmo curare quella parte di noi che un tempo è stata abbandonata.

C’è quella famosa frase di Coelho che dice “quando dici di sì a qualcun altro, assicurati di non stare dicendo di no a te stesso”. Questo è molto importante perché, se noi non abbiamo amore verso noi stessi, non possiamo nemmeno dare amore agli altri. Non è egoismo, è amore proprio. Senza l’amor proprio non possiamo aiutare chi sta male. 

Anche Roberto Assagioli, il fondatore della Psicosintesi, diceva “stai attento a non consumare tutto l’olio della tua lampada (interiore), altrimenti non potrai splendere e aiutare gli altri”. 

Certo, in certi momenti qualcuno rischierà di sentitisi abbandonato, o tradito, vedendoci poco disponibili, ma è solo trovando il giusto equilibrio tra amare noi stessi e dare amore (e aiuto) agli altri che riusciremo a compiere la nostra missione qui sulla terra.

Eleonora

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PERCHE’ DOVREMMO ESSERE OTTIMISTI?

Io: “Cavolo Andrea ci siamo persi…”

IlmioamicoAndrea: “Te l’avevo detto che era meglio non andare a quella festa…”

Io: “Vabbè non perdiamoci d’animo, torniamo indietro a quel bivio e prendiamo l’altra strada…”

IlmioamicoAndrea: “Ma non è detto che sia quello il bivio dove abbiamo preso la strada sbagliata, potrebbe essere quello di 30 chilometri fa, poi è buio, non si vede niente…”

Io: “Sì, lo so, altrimenti non ci saremmo persi, ma tentar non nuoce, e poi sta macchina ha i fari, no?”

IlmioamicoAndrea: “E se poi è sbagliata anche quella strada? E se poi consumiamo ancora benzina e non arriviamo lo stesso alla festa?”

Io: “Ho capito che non lo sappiamo, ma se non proviamo non lo sapremo mai! Ma tu cosa proponi?”

IlmioamicoAndrea: “Non lo so… forse è meglio tornare a casa… lo sapevo che non ci saremmo divertiti a quella festa…”

Io: “Ma come facciamo a sapere se ci saremmo divertiti se manco ci arriviamo!!!”

Ecco una scena della mia vita, di molti anni fa quando andare alle feste era uno dei miei sport preferiti… ed una delle tante dove il mio ottimismo si è scontrato con una sorta di pessimismo di uno dei miei più cari amici(PS: alla festa poi ci siamo arrivati…).

Ma cos’è l’ottimismo?
L’ottimismo è un modo di vedere la vita che si riferisce al futuro, alle prospettive che abbiamo o pensiamo di avere. L’atteggiamento ottimistico o pessimistico si applica anche al presente o al passato.

Ad esempio se quando acquistiamo un Gratta&Vinci pensiamo “Sì, compriamo un biglietto della lotteria, anche se tanto non vinco mai…” o ripensando al passato affermiamo “Non me ne è mai andata dritta una… tutto quello che poteva accadermi di negativo è successo…” il nostro livello di ottimismo non è ai massimi possibili.

L’ottimismo è la capacità di vedere il lato positivo della vita e delle situazioni negative che ci colpiscono.

Riuscire a vedere anche nei fallimenti o errori commessi durante nel nostro passato delle importanti lezioni che ci hanno aiutato a migliorare, ad evolverci e ad essere quelli che siamo oggi è un segnale di approccio ottimistico. Naturalmente tra la persona ottimista al 100% e quella pessimista cronica c’è una infinità di gradazioni, dove probabilmente ci posizioniamo noi. Accade spesso che su alcuni aspetti della vita abbiamo un atteggiamento positivo, mentre su altri aspetti siamo meno fiduciosi. Ad esempio potremmo essere ottimisti nelle relazioni sociali ma non in amore, oppure potremmo essere ottimisti in amore ma non sul lavoro, o ancora ottimisti sul lavoro e pessimisti sulla salute, e così via…

Ma perché se siamo un po’ pessimisti non possiamo rimanere così? Tanto aspettarsi cose positive o negative dalla vita non cambia… quel che accadrà si vedrà.

In realtà essere ottimisti porta a numerosi vantaggi.

Come prima cosa gli ottimisti (tendenzialmente) vivono più a lungo. Come illustrato da Immaculta de Vivo nel libro “Biologia della gentilezza”, è emerso che le persone con mentalità ottimista sono associate a svariati indicatori di buona salute, soprattutto in ambito cardiovascolare, immunologico, metabolico e polmonare. I ricercatori hanno scoperto che questo è l’effetto di tre fattori legati all’ottimismo che:

  1. Aumenta la probabilità di assumere comportamenti salutari (mangiare bene e non troppo, dormire il giusto, fare un po’ di attività fisica tutti i giorni, non tramortirsi di alcool o droghe o altre dipendenze, …)
  2. Rallenta i processi di invecchiamento biologico
  3. Favorisce la regolazione delle emozioni e soprattutto la gestione delle situazioni stressanti: la maggior reattività emotiva (favorita dal pessimismo) stimola la produzione da parte del corpo di cortisolo e noradrenalina che mantengono alti il livello di infiammazione del corpo e facilitano l’insorgere di malattie.

Gli ottimisti inoltre hanno maggiore perseveranza nel perseguire i propri obiettivi: ad esempio un ottimista riesce meglio nel percorso universitario non perché sia più intelligente di un pessimista, ma perché pensa che riuscirà a raggiungere il suo obiettivo e quindi tende a superare con maggior facilità i momenti di sconforto per eventuali esami andati male.

Per un ottimista un fallimento è un motivo per fare meglio, per un pessimista è un motivo per abbandonare l’impresa.

Un ottimista è più motivato e perserverante.

L’ottimismo, inoltre, rende più sani: una ricerca pubblicata sul Journal of American Medical Association e condotta da Alan Ronzaski, cardiologo newyorkese, su ca. 22.000 persone ha evidenziato che l’ottimismo è associato a un ridotto rischio di morte prematura (-11%), di infarto e di ictus (-35%). Un’associazione positiva che si può paragonare a quella che si osserva tra rischio di morte e sintomi depressivi, o pressione alta, o esposizione costante al fumo passivo.
E’ stato anche testata negli ottimisti la minor possibilità di sviluppare malattie respiratorie. Da un test effettuato dall’American Heart Association nel 2006, su un campione di ca. 200 persone a cui era stato inoculato un comune virus delle vie aeree, si è osservato che le persone ottimiste tendevano a non ammalarsi, al contrario di quelle pessimiste.

A questo punto una persona potrebbe domandarsi: “Ok, essere ottimista sarebbe meglio, ma io sono pessimista… che ci posso fare?”

In pratica è come domandarsi: essere ottimisti o pessimisti è una scelta o “uno nasce così” e non ci può fare nulla?

Gli studiosi dicono che l’ottimismo è determinato dai nostri geni per il 25%, il resto lo possiamo determinare noi!

“E allora come si fa ad alimentare il serbatoio della positività?
La prima arma che ci può aiutare in questo campo (in realtà un po’ in tutte le situazioni) è la consapevolezza dei pensieri che abbiamo e di quello che proviamo. Riconoscere i nostri stati d’animo ci consente di smorzare il potere di certi condizionamenti che abbiamo fin da bambini, e che non sappiamo neanche chi ci ha trasmesso, ma che di certo non ci aiutano a vivere meglio. Quando avremo riconosciuto i nostri atteggiamenti di sfiducia verso il futuro, possiamo cambiare quei pensieri e magari essere un po’ più positivi.

Ci sono poi altre tecniche che ci possono aiutare a ‘riempire’ il serbatoio dell’ottimismo.

Vediamone alcune:

  1. Non investire troppo tempo su ‘informazioni’ negative: tipicamente i telegiornali, le notizie e i quotidiani selezionano notizie sensazionalistiche in grado di calamitare l’attenzione delle persone ed il canale privilegiato che utilizzano è veicolare messaggi che provochino nel lettore o ascoltatore paura, rabbia o tristezza, tutte emozioni che non ci aiutano certo a stare meglio! Una bella dieta ‘detox’ sulle sirene dell’informazione sarà il primo passo per cominciare a stare meglio e vedere con più amore il futuro.
  2. Assumere un atteggiamento più ‘possibilista’ di fronte ai problemi: pensare, ad esempio, a come trovare una soluzione a un problema anziché pensare che l’ostacolo sia insormontabile. Se non riusciamo a fare qualcosa e ci arrendiamo, successivamente possiamo provare sensazioni di frustrazione e fallimento: viceversa se ci impegnamo e proviamo a insistere sarà possibile riuscire a superare la prova. Ad esempio a me è capitato qualche giorno fa di fare una garetta a pallacanestro con mio figlio di 8 anni: abbiamo provato a fare canestro all’indietro, ossia dando le spalle al canestro e tirando il pallone dietro la nostra schiena senza vedere il tabellone. Lui è riuscito a fare canestro al 7° tentativo, io al 20° non c’ero ancora riuscito, ma ero sicuro che prima o poi ce l’avrei fatta. Lorenzo intanto ha smesso di giocare, e al 35° tentativo ho elaborato anche una strategia ad hoc: dopo essermi posizionato per tirare, mi piegavo e guardavo in mezzo alle gambe se ero allineato col corpo al canestro: dopo 5 tiri (al 40° tentativo) finalmente ce l’ho fatta! Per fortuna non avevo fissato un numero massimo di tiri da poter effettuare o un tempo massimo, altrimenti non avrei mai raggiunto il mio obiettivo!
  3. Allenare il benessere nel presente con la pratica della gratitudine: scrivere le gratitudini tutte le sere per le cose belle che ci sono successe durante la giornata aiuta a fissare nella nostra memoria i momenti positivi della giornata e questo ha un impatto sul nostro umore e sulle nostre capacità di riconoscere (e ricordare) sempre di più il bello della vita.
  4. Provare a fare azioni di gentilezza verso gli altri. La gentilezza verso gli altri è un ottimo strumento in grado di migliorare sensibilmente l’ambiente in cui viviamo: le altre persone mostreranno subito riconoscenza per i nostri atti gentili e noi stessi ci sentiremo meglio fin dall’attimo in cui li compiamo, ancora prima di essere ringraziati.

E’ però giusto, trattando questo argomento, ricordare che non bisogna neanche esagerare troppo con l’ottimismo: un eccesso di ottimismo è altrettanto dannoso quanto una mancanza totale. Infatti se ci buttiamo in avventure spericolate fiduciosi che andrà tutto bene, senza prendere magari alcune sane precauzioni, potremo pagarne care le conseguenze. Ad esempio se vado al casinò convinto di vincere e continuo a perdere è meglio fermarsi anziché giocarsi tutto convinti di diventare milionari e rimanendo poi senza i soldi per tornare a casa! O se mi butto giù da una pista nera con gli sci e non sono così pratico o non ho fatto prima un po’ di riscaldamento bello convinto che tutto andrà bene potrei avere qualche brutta sorpresa durante la discesa!

Sia gli ottimisti che i pessimisti contribuiscono alla società.

L’ottimista inventa l’aereoplano, il pessimista il paracadute.

George Bernard Shaw

E tu ti senti più ottimista o pessimista?

Ci sono altre strategie che utilizzi e che pensi possano essere utile per avere un’approccio più fiducioso verso il futuro?

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LA MORTE A VENEZIA

Abbiamo fatto 4 giorni a Venezia, nella casa dei miei nonni materni. Con il Covid è rimasta sfitta e a mia mamma piace stare lì, le piace invitare parenti e amici per stare un po’ insieme. 

Era da prima che nascesse Luce che non andavo a Venezia, esattamente da gennaio 2017.

 Da quando è morta mia nonna andare a Venezia mi smuove molte emozioni, amore, tristezza, ricordi infiniti che si affollano nella mia mente. 

Mentre camminavo tra le calli, vicino alla sua casa, mi sono sentita così triste. Una tristezza mista ad amore, alla consapevolezza che lei, in qualche modo, c’è ancora, tra le calli, nel cielo blu, tra il volo dei gabbiani e quello dei colombi. Ricordo le parole di Thich Nhat Hanh riguardo alla morte di sua madre…

Il giorno in cui è morta mia madre, ho scritto nel mio diario: “ Nella mia vita è avvenuta una grande sventura”. Ho sofferto per oltre un anno […] Ma un giorno, […] ho sognato mia madre. Mi vedevo seduto a parlarle, ed era meraviglioso […] L’impressione che mia madre fosse sempre dentro di me era chiarissima. Ho compreso allora che l’idea di aver perso mia madre altro non era che un’idea. È stato evidente in quell’istante che mia madre era ancora viva in me. Ho aperto la porta della mia capanna per andare un po’ a passeggio […] Ogni volta che i miei piedi toccavano la terra, sapevo che mia madre era lì con me […] Da allora, l’idea di aver perso mia madre ha smesso di esistere. 

(Thich Nhat Han, Il segreto della pace, Mondadori 2003)

Ecco, la mia sensazione era proprio quella, sentivo che lei c’era comunque, lì, con me, con i miei bambini che non ha mai conosciuto, con mia mamma e con mio padre. Mi è presa poi una grande nostalgia per i mei genitori da giovani, quando vivevano a Venezia e facevano politica e avevano tutti i loro amici, e i loro ideali, quando pensavano che avrebbero cambiato finalmente il mondo… e invece guarda come siamo messi. Mi è presa la paura di perderli, sapere che tanti loro amici non ci sono più, e ho pensato all’amore che tra noi non è stato scambiato, quasi come un’ urgenza di riparare tutto il tempo sprecato. 

Certo, so che quando non ci saranno più, la loro anima vivrà ancora, da qualche parte, ma quello che mi mancherà, e che mi manca oggi di mia nonna, è proprio quell’essere incarnato in quel corpo lì, un’unione unica tra mente, corpo e spirito, con difetti e rigidità, con i suoi pregi, con quel tipo di camminata particolare, quel modo di muovere il braccio, quella risata, quel modo di arrabbiarsi, con quelle mani, i piedi con quelle unghie, i nei in quel punto particolare del volto, mi mancheranno tremendamente i dettagli delle persone che ho conosciuto così a fondo, e che ho tanto amato. 

Forse l’amore incondizionato è proprio questo, amare quell’essere unico e irripetibile che ti ha cresciuto, nel bene e nel male, ma che è stato tutto per te.

Sedevo con Alberto davanti a un aperitivo di fronte alla laguna, un apero-cena solo noi, come non avviene quasi mai. La gente si godeva Venezia, gli spritz e i cicchetti e qualche motoscafo passava davanti a noi con giovani ricchi, belli e spensierati. Una serata perfetta se non fosse stata per quella emozione struggente che mi invadeva il petto. La morte a Venezia, come il romanzo di Thomas Mann che ho letto forse al liceo, ma che potrei rileggere durante le vacanze. 

La città più bella del mondo – la chiamava mia nonna – la mia Venessia. La bellezza di una città unica che sprofonda ogni anno un po’ di più sotto l’inettitudine e la corruzione umana. 

Vivere in questo periodo storico è tosto, speriamo che, come sempre è stato in passato, dopo una decadenza ci sia una rinascita. E restiamo ancorati ai sorrisi dei bambini che insistono per fare un giro in “gongola” (come Luce chiama le gondole) e all’aria pulita, alla brezza fresca e a quella musica lounge di un dj disoccupato che si è messo a suonare davanti alla Chiesa della Salute per regalare ai passanti attimi eterni…

Eleonora

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